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 2010  maggio 06 Giovedì calendario

NOI LEGHISTI O VERI EREDI DEI MILLE

Nello stemma di Bergamo c’è la scritta «Città dei Mille» perché nessun’altra città ha dato tanti uomini alla spedizione: 174. Ma forse ora uno di quei 174 - Giovan Battista Asperti - si sta rivoltando nella tomba, dov’è sepolto con tanto di monumento.
Un suo discendente, Ettore Pirovano, presidente della Provincia di Bergamo, è un leghista di quelli tosti: «Sono stato secessionista, ma sono sostanzialmente federalista» ha confidato due anni fa all’Eco di Bergamo. Sessant’anni, diplomato geometra, di professione consulente gestionale, è stato sindaco di Caravaggio (dove ha avuto qualche grana per aver costruito una «scuola elementare padana») ed è anche deputato. In casa tiene su un piedistallo un quadro con una foto dell’augusto antenato e un pezzo della sua divisa.
Presidente, chi era Giovan Battista Asperti?
«Nato a Bergamo, mio trisavolo da parte di mamma. A 18 anni disertò dall’esercito sabaudo per arruolarsi nei Mille. Fu condannato a morte in contumacia e riabilitato quando i garibaldini passarono da avventurieri e briganti a salvatori della patria».
Lei è leghista, ma ne conserva le reliquie.
«Ma certo. In casa se ne è sempre parlato come di un eroe. Ho anche il documento della sua pensione e una lettera che gli scrisse Garibaldi. E sa perché gliela scrisse?».
Brancolo nel buio.
«Perché siccome chi aveva partecipato alla spedizione dei Mille aveva diritto appunto a una pensione, si presentavano in massa a dire: c’ero anch’io! E siccome Garibaldi non poteva ricordarsi tutti, chiedeva informazioni a quei pochi che conosceva. Questo per dire che già allora si inseguivano le finte pensioni».
Faccia capire: come mai lei conserva le reliquie e ne parla come di un eroe? Dovrebbe detestarlo, con tutti i terroni che hanno portato su i Mille.
«Ma allora non c’era il concetto dei terroni, per il semplice motivo che qui nella Bergamasca nessuno li aveva mai visti. E comunque io considero il mio trisavolo un eroe. Anzi, sa che cosa le dico? Fu un leghista ante litteram».
Leghista uno dei Mille? Questa la deve spiegare.
«Senta, non facciamo retorica sullo spirito unitario di quei ragazzi. Allora non si sapeva niente di politica, non c’erano i giornali, non c’erano la radio e la tv, la gente passava tutta l’esistenza senza uscire dal proprio comune. C’erano i racconti delle osterie, e da quei racconti non veniva fuori lo spirito unitario, anzi: qui i piemontesi erano visti come degli invasori e detestati. E infatti il mio trisavolo disertò».
D’accordo. Ma perché dice che la scelta di andare con Garibaldi fu una scelta «leghista»?
«Perché leghista era lo spirito di avventura, il desiderio di andare a liberare popoli che - gli avevano raccontato - erano oppressi. Di fronte a quei discorsi molti bergamaschi risposero ”presente”: le camicie rosse furono tinte qui in provincia, a Gandino. Fare del bene è nel Dna bergamasco. Lo sa che siamo sempre i primi nella donazione di sangue e di organi? Una volta a Roma l’Avis mi ha invitato a parlare e uno del pubblico ha gridato: bravi, grazie, ma adesso basta donarci il sangue se no ci tocca andare a lavorare».
Quindi il suo trisavolo non sapeva nulla di politica ma partì per pura generosità?
«E per spirito di avventura, come le ho detto. Lei immagini quei ragazzi bergamaschi che scendevano dalle valli e che si sentivano dire che avrebbero imbracciato il fucile contro il tiranno e visto il mare per la prima volta in vita loro».
Sta dicendo che c’è troppa retorica, sui Mille?
«Sto dicendo che non si può pretendere una memoria condivisa con le figurine dell’Ottocento. Bisogna fare ragionamenti più complessi, spiegare che i Mille non parlavano neanche italiano, che furono usati dai Savoia per fare il lavoro sporco gestendo i plebisciti con le baionette, che furono prima vilipesi e poi esaltati. L’Italia di allora, per il popolo, era l’Italia dei Comuni: il patriottismo del 1860 non può essere rappresentato con quello che le istituzioni canoniche vogliono rappresentare oggi. Io sono per l’Unità della dignità della gente, e quella non la si ottiene con la retorica, ma con i fatti. E i fatti oggi sono il federalismo».
Volevo chiederle se, come presidente della Provincia, organizzerà qualche celebrazione per l’Unità, ma forse è meglio che lasci perdere.
«Parteciperò a quello che c’è già. Certo non sarò il promotore di nuove iniziative. Anche perché non ce n’è proprio bisogno».