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 2010  maggio 06 Giovedì calendario

DENIS E GLI APPALTI SULL’EOLICO: COINVOLTI ANCHE ALTRI POLITICI PDL

si è abbattuta sul Pdl. Denis Verdini, coordinatore nazionale del partito con Sandro Bondi e Ignazio La Russa, da ieri è ufficialmente indagato per corruzione nell’ambito di una nuova inchiesta su appalti e tangenti di cui da giorni si mormorava negli ambienti della Procura di Roma. Un’inchiesta che ha come epicentro il business dell’eolico in Sardegna e che mostra molti punti di contatto con quella di Firenze e Perugia che in questi mesi ha azzerato i vertici della Protezione civile, Bertolaso escluso. Un’indagine partita in sordina alla fine del 2008, quando il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - responsabile del pool sulla criminalità organizzata di piazzale Clodio - si ritrovò tra le mani alcune intercettazioni in cui era coinvolto tal Luigi Franzinelli, all’epoca indagato per corruzione e rapporti di favore nei confronti di ambienti mafiosi. Ma a parte questo, noto soprattutto per aver piantato pale e impianti eolici in mezza Italia. Ebbene Franzinelli era in stretto contatto telefonico con Flavio Carboni - il faccendiere accusato di aver ucciso Roberto Calvi - che ormai ha 73 anni, ma non li dimostra ed è ancora molto attivo in Sardegna. Dove appunto nei giorni scorsi ci sono state perquisizioni nella sede dell’a s s e s s o ra - to regionale a caccia di pratiche riguardanti domande presentate da privati a partire dal 2009. Secondo gli investigatori, almeno inizialmente, dalle telefonate non emergevano fatti di rilevanza penale. Piuttosto un sistema di potere, una rete di rapporti politici e affaristici tanto disinvolti quanto rivelatori. Tanto che qualcuno parla di ”nuova P2”. Uno dei personaggi più gettonati sembra essere Marcello Dell’Utri, in contatto sia con Carboni sia con Verdini, entrambi impegnati a risolvergli problemi economici e giudiziari non meglio precisati. Poi, qualche giorno fa, l’inchiesta è improvvisamente deflagrata con la perquisizione nei locali del Credito cooperativo fiorentino e cioè la banca di cui è presidente Verdini. Dalle intercettazioni era emerso che la rete di favori non si limitava a contatti o raccomandazioni, ma si concretizzava in progetti di appalti cui apparivano interessati imprenditori, faccendieri e personaggi politici di primo piano. Sembra che anche il nome di Scajola ricorra in quest’inchiesta, assieme a quello di un sottosegretario alla Giustizia, a moltissimi funzionari e dirigenti di via Arenula, a magistrati amici di quel Pasquale Lombardi - già ufficialmente indagato con Carboni - presidente di un’associazione di giuristi. Moltissimi gli esponenti del centrodestra coinvolti, almeno una decina i parlamentari. Anche se nessuno è ancora in grado di dire chi, tra questi, è già iscritto sull’elenco degli indagati e per quale reato. Si fa anche il nome di un ministro che avrebbe ricontrattato il mutuo nella banca di Verdini, ma che sembra estraneo ad altri addebiti. Corruzione, tangenti, affari. Gli inquirenti stanno anche valutando di contestare ad alcuni indagati anche il reato di associazione per delinquere, ma preferiscono aspettare i risultati della perquisizione. In particolare si indaga su un giro di assegni, i cui intestatari sarebbero prestanome. Il sospetto di Capaldo è che la banca fosse lo ”snodo” di un comitato d’affari - con base a Firenze e affari in Sardegna - interessato a riciclare soldi e smistare tangenti. Un sodalizio che faceva capo direttamente a Verdini che ieri, quando la notizia si è diffusa, ha però mostrato i muscoli. ”Non mollo, non è nelle mie abitudini, non fa parte della mia cultura”. Del resto era già indagato a Firenze nell’ambito dell’inchiesta sul G8 e neppure allora si era dimesso. Ma la frecciata sembra diretta a Scajola (o a chi non lo ha difeso con maggiore forza). Ma per capire cosa accadrà occorre aspettare ancora qualche giorno. Il procuratore Capaldo ci tiene a negare che si tratti di un’inchiesta fotocopia rispetto a quella fiorentina, poi passata a Perugia, magari destinata a preparare il terreno se e quando questa dovesse tornare a Roma per quei motivi di competenza già sollevati dal gip umbro. In realtà sono almeno tre gli elementi che legano le inchieste di Roma e Firenze. La Sardegna, innanzitutto. Oltre all’immenso business dell’eolico, anche l’inchiesta romana sembra interessata agli appalti nelle carceri sarde - quella di Sassari ad esempio - cui appetivano le società legate a Diego Anemone. C’è poi il ruolo svolto dalla banca di Denis Verdini. Gli investigatori romani hanno scoperto che alcuni notissimi imprenditori si sarebbero rivolti a Flavio Carboni per avere appoggi politici, in cambio di mazzette transitate nella banca fiorentina. Terzo e ultimo punto comune, Propaganda Fide, l’istituto che gestisce l’impero immobiliare della Santa Sede e che fa capo all’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, ovvero la banca vaticana che negli ultimi anni sembra aver assunto il ruolo del vecchio Ior. Tre indizi fanno una prova.