Nino Ciravegna, Il Sole-24 Ore 6/5/2010;, 6 maggio 2010
AL SUPERMARKET DELLA SPERANZA LA FACCIA TRISTE DEI ”SIN TRABAJO”
Era un grande negozio, aveva una posizione perfetta: quartiere borghese, sette grandi vetrine all’angolo tra due viali, sopra la stazione della metropolitana. Ci vendevano lavatrici, televisori, friggitrici e tutto quanto serve ad alleviare le fatiche in cucina. La grande crisi ha spazzato via tutto, ora le sette vetrine sono vuote, dentro si vende, anzi si regala, una sola cosa: la speranza di un posto di lavoro. Una ricca agenzia del Servicio publico de empleo, larga 44 piastrelle da 40 centimetri, lunga 36 disoccupati ordinatamente seduti più i corridoi. Un’agenzia bella come non se ne vedono da noi, con display per fare la fila, 26 scrivanie per il ricevimento, sul retro aule per riunioni e la formazione- a maggio comincerà il corso per bagnino, è appena terminato quello di specializzazione in tecnologie per il freddo. Il salone è pieno come un uovo, ma nessuno protesta, il servizio corre veloce. Alle dieci del mattino gli addetti hanno gestito 400-500 pratiche, mille e più alle due del pomeriggio, quando la speranza chiude. In mille ogni giorno per chiedere un posto, iscriversi alle liste, ritirare l’indennità, far timbrare l’attestato che ti garantisce i servizi sanitari della mutua.
Metà sono ragazzi fino a 30 anni, ci sono molti over 50 con la cravatta, impiegati tagliati dalla crisi, i quarantenni si sono lasciati andare, barba mal rasata, capelli arruffati, imbarazzati nello stare lì. Ma rischiano di passare diverse mattinate perché la situazione resta difficile. Anzi peggiora, mese dopo mese uno stillicidio. Da inizio anno ogni giorno sono stati distrutti tremila posti di lavoro, a fine marzo è stata superata la soglia psicologica dei quattro milioni di disoccupati, il 20% della popolazione attiva. Nella sola area di Madrid ci sono 552mila disoccupati, in Andalusia un milione. Per trovare una situazione "normale", sui livelli europei, devi salire su fino ai paesi baschi, con la Navarra, che ha solo il 12,3% dei senza lavoro.
Al Centro de empleo c’è grande dignità, nessuno sfoga la sua frustrazione nelle toilette - pulitissime - non vedi rassegnazione, ma il dramma c’è. forte, rischia di diventare esplosivo. Per quanto può durare una situazione in cui il 58% dei ragazzi fino a 19 anni e il 37% tra i 20 e 24 anni è senza lavoro? E c’è un dramma nel dramma, la spaccatura tra chi ha un posto, magari nella generosa pubblica amministrazione, e chi è uscito (o mai entrato) nel mondo del lavoro. Le retribuzioni di chi ha un lavoro sono cresciute in cinque anni del 24,2% contro una media Ue del 13,1%, gli altri si sono visti adeguare a malapena le indennità. Le spaccature si pagano, prima o poi.
Al supermercato della speranza tanti prendono nota, diligentemente, che ci sono sette posti per la manutenzione straordinaria degli edifici, qualcuno- pochi per la verità - si segna gli estremi del concorso per l’arruolamento nella Guardia civil. L’estate porterà un po’ di posti temporanei, sempre che agenzie di rating e borse internazionali non facciano brutti scherzi. Poi? Il governo Zapatero ha concordato con i sindacati uno stanziamento suppletivo di 511 milioni per allungare l’assegno mensile ai disoccupati che ne avrebbero perso diritto. Ma il governo deve anche fare i conti con le future pensioni: in un anno sono spariti 600mila lavoratori che pagavano i contributi previdenziali, indispensabili per pagare le adeguate pensioni di oggi. I posti calano, i pochi giovani che lavorano guadagnano poco, le prospettive non sono per niente buone.
Tra le centinaia di "sin trabajo" che affollano la sala del centro per l’empleo si vedono extracomunitari, molti africani e tantissimi sudamericani, riconoscibili per lo smodato uso del cellulare e le chiacchiere a voce alta.Nessuno fa caso a loro,l’importante è che rispettino il numerino della fila. Non si sentono gli echi, in questa ricca agenzia, del rancore che nelle zone rurali sta salendo contro chi viene da fuori. I giovani extracomunitari regolari trovano lavoro più facilmente dei loro coetanei, il 20% in più. Ci rubano il lavoro, accusano sindaci e amministratori di piccole città. No, ribattono gli altri, fanno lavori che i giovani spagnoli non vogliono più fare. All’agenzia questa tensione non si sente, non s’addice a un supermercato della speranza. Ma quando si comincia a parlare con toni sempre più forti, tendenti alla xenofobia, i problemi si aggravano, alla faccia della speranza.