Alessandro Calvi, Il Riformista 5/5/2010, 5 maggio 2010
UN ASSENTE ILLUSTRE, L’AVVISO DI GARANZIA
Non sono indagato, aveva detto Claudio Scajola intervistato dal Giornale che, il primo maggio, aveva titolato: «Scajola: vi spiego tutto». Lo stesso Giornale ieri apriva l’edizione con un perentorio: «Scajola chiarisca o si dimetta»; e c’è una bella differenza. Anche perché, nel frattempo, il vicedirettore del Giornale Nicola Porro, autore dell’intervista, aveva fatto sapere di non credere al ministro. Lui, però, il ministro, andava ripetendo di non essere indagato. E, paradossalmente, per quanto sia vero, proprio questo particolare, e la mancanza di un avviso di garanzia, sembrano essere stati il suo punto debole, l’ostacolo insormontabile sul quale Scajola è caduto.
Già, perché insieme all’ormai ex ministro, il vero protagonista, seppure mancato, di questa storia è proprio l’avviso di garanzia, grande star della Seconda Repubblica, sin da quello con la ”A” maiuscola che Silvio Berlusconi ricevette poco dopo la sua discesa in campo. Era il 22 novembre del 1994, il Cavaliere era a Napoli, impegnato a presiedere una Conferenza internazionale sulla criminalità e il Corriere della Sera dava una notizia clamorosa: «Silvio Berlusconi è indagato». L’inchiesta era quella sulle tangenti alla Guardia di Finanza, il reato contestato la corruzione in concorso con altri.
Fu uno scoop che fece epoca, firmato da Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo. Su quell’avviso si è scritto moltissimo e moltissime sono state le critiche sulla decisione dei magistrati di inviare proprio in quel momento quella comunicazione. Comunque sia, da allora l’avviso di garanzia - che tecnicamente si definisce ”informazione di garanzia” - è stato un protagonista indiscusso delle cronache, capace col solo essere evocato di cambiare in un istante la vita di manager e politici più di quanto potesse fare una condanna definitiva. Questo, almeno, sino ad ora. Ma qualcosa sembra essere cambiato: l’appartamento vista Colosseo acquistato da Scajola irrompe nelle cronache e terremota il governo. Di avvisi di garanzia, questa volta, neppure l’ombra. E, però, non può stupire.
Spiega infatti il codice che «solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia». Ciò significa che, di regola, l’indagato viene a conoscenza della indagine soltanto alla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm o quando lo stesso pm chieda e ottenga la proroga delle indagini dopo i primi 6 mesi. Inoltre, come ha confermato ieri il procuratore della Repubblica di Perugia Federico Centrone, Scajola non figura tra le persone iscritte nel registro degli indagati. Sarà ascoltato il 14 maggio soltanto come persona informata sui fatti.
Ebbene, se tutto questo è vero, è evidente che la linea seguita dai magistrati perugini può apparire anomala. Ma soltanto se il termine di confronto è quello dei rapporti, spesso turbolenti, tra politica e magistratura degli ultimi 15 anni, perché altrimenti si deve concludere che la condotta della procura di Perugia è a regola di codice. Eppure, è proprio questo che ha segnato la fine della permanenza di Scajola al ministero delle attività produttive.
Difficile dire se si tratti di una strategia della magistratura. Piuttosto, potrebbe essere l’annuncio di un embrione di Terza Repubblica, almeno nei rapporti tra politica e magistrati. Comunque sia, l’assenza di avvisi di garanzia e l’essere trattato non come indagato ma come persona informata sui fatti, ha indebolito la difesa di Scajola, almeno dal punto di vista politico.
Senza un avviso di garanzia in tasca, infatti, per Scajola è stato davvero difficile trincerarsi dietro il più classico scudo usato dal Cavaliere, che non è il lodo Alfano ma il contrattacco sui magistrati. Mediaticamente, infatti, l’attacco alle toghe rose e alla magistratura politicizzata ha sempre pagato. A Scajola, invece, mancato l’avviso di garanzia è mancato il gancio al quale aggrapparsi per reagire. E, mancando anche l’effetto mediatico del contrattacco, inevitabili, sono arrivate le dimissioni, accompagnate dal suo ripetere come un mantra quel «non sono indagato» che, evidentemente, non è bastato ma, anzi, ha pesato quasi come condanna.