Sissi Bellomo, Il Sole-24 Ore 5/5/2010;, 5 maggio 2010
IL «RIFUGIO» ORO AI NUOVI MASSIMI PETROLIO IN FRENATA
La paura che la crisi greca possa scatenare un effetto domino, travolgendo i bilanci di altri paesi europei, è tornata in primo piano anche sui mercati delle materie prime, proiettando l’oro – bene rifugio per eccellenza e valuta alternativa – verso nuovi primati e innescando viceversa pesanti vendite sul petrolio e su altre commodi-ties, considerate più rischiose dagli investitori.
Le quotazioni del metallo giallo hanno aggiornato per l’ennesima volta il record storico, non solo in euro (con un picco di 911,38 per oncia), ma anche in sterline e in franchi svizzeri. Notevole anche l’apprezzamento in dollari: prima di cedere alle prese di profitto, l’oro è salito ai massimi da cinque mesi, a quota 1.192,90 $/oncia, portandosi ad appena una quarantina di dollari dal record assoluto stabilito lo scorso dicembre (1.226,44 $/oz).
I tradizionali rapporti di correlazione – che vedono l’oro muoversi preferibilmente in direzione opposta al biglietto verde – sono stati ancora una volta sovvertiti, come ormai avviene sempre più spesso: il rally di ieri è avvenuto proprio mentre l’euro veniva schiacciato verso 1,30 dollari, ai livelli più bassi da aprile 2009, a ennesima riprova che in questa fase l’interesse per il lingotto è alimentato soprattutto dall’avversione al rischio e dalla sfiducia verso la divisa europea.
Non a caso le altre materie prime – compresi l’argento e i platinoidi, che hanno accusato ribassi fortissimi al Comex – hanno imboccato il cammino opposto: l’indice Reuters/Jefferies Crb, costruito su un paniere di 19 commodities, ha perso oltre il 2%, finendo ai minimi da un mese. Le vendite si sono accanite in modo particolare sui mercati petroliferi, probabilmente anche in reazione al rally dei giorni scorsi. Il petrolio Wti ha perso il 4%, chiudendo a 82,74 dollari al barile. Il Brent, che lunedì era ai massimi da ottobre 2008, ha ripiegato a 85,67 $/bbl (-3,7%). Secondo gli analisti ad attenuare la tensione hanno contribuito anche l’attesa di un accumulo di scorte e il venire meno del timore che l’esplosione alla piattaforma Bp nel Golfo del Messico possa frenare ulteriormente le attività dell’industria petrolifera nell’area: il trasporto e la raffinazione di greggio proseguono normalmente e sono state fermati soltanto tre impianti di estrazione di gas.
Perdite pesanti si sono registrate anche tra i metalli non ferrosi al London Metal Exchange, nonostante i dati economici incoraggianti dagli Stati Uniti e la progressiva erosione delle scorte rafforzino le speranze di una ripresa dei consumi. Alla borsa londinese, riaperta ieri dopo il bank holiday di lunedì, sembra comunque che abbiano pesato soprattutto le ultime azioni di politica monetaria della Cina: domenica Pechino ha innalzato, per la terza volta quest’anno, gli obblighi di riserva delle banche locali. Una mossa che lascia presagire un rallentamento degli acquisti cinesi di materie prime, finora sostenuti anche dall’abbondanza di liquidità. Quali che fossero le motivazioni prevalenti, il rame all’Lme è sceso ai minimi da due mesi (7.175,5 dollari per tonnellata, settlement). Rispetto a venerdì sera il prezzo del metallo rosso a fine giornata risultava diminuito di oltre il 4 per cento. Perdite analoghe hanno accusato il piombo, lo zinco e il nickel.
La tendenza ribassista, sia pure in modo meno uniforme, non ha risparmiato nemmeno i mercati agricoli. Ribassi superiori al 3% hanno colpito ad esempio lo zucchero, sia grezzo che raffinato, mentre il cotone a New York è arretrato del 2,8 per cento.