Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 05/05/2010, 5 maggio 2010
COME DISTRIBUIRE RICCHEZZA IN UNSISTEMA FEDERALE
Confesso di non capire il senatore Bossi quando arringa sul federalismo, minaccia la separazione della Padania e parla d’una poltrona padana a Bruxelles. Se i napoletani e i siciliani costano troppo ai lombardi, quanto pensa il senatore Bossi che gli costerebbero i greci, gli spagnoli ecc.? O sbaglio, o l’idea stessa del federalismo è proprio l’equilibrio delle disparità e la protezione dei più deboli. Ridistribuire fa parte del Dna del federalismo. Bossi è troppo furbo per non capirlo. Che cosa vuole combinare?
de Montigny Marchand
montigny@tin.it
Caro Marchand, ricordo ai lettori che lei è canadese, vale a dire cittadino di uno Stato federale, e che segue attentamente la politica italiana da quando, negli anni Novanta, fu ambasciatore del suo Paese a Roma. Non è tutto. Lei sa quale importanza abbia avuto nella vita politica del Canada la questione della sua maggiore provincia francofona. Incoraggiata da una famosa dichiarazione del generale de Gaulle («Vive le Québec libre!»), una parte consistente della provincia chiese l’indipendenza e fu a un passo dall’ottenerla con il referendum del giugno 1995. Quattro anni fa, nel 2006, la Camera dei Comuni canadese ha approvato una risoluzione con cui si riconosce che il Québec è una «nazione all’interno di un Canada unito». Negli anni Novanta, quando la Lega aveva un programma secessionista, i suoi esponenti citavano spesso la battaglia indipendentista del Québec come una fonte d’ispirazione e un modello da imitare.
Lei può comprendere meglio di altri, quindi, il dibattito sul federalismo che ha dominato la vita pubblica italiana soprattutto negli ultimi quindici anni; e ha certamente ragione quando osserva che il federalismo deve essere solidale e «ridistributivo». Se alcune entità territoriali vivono insieme sotto lo stesso tetto, la condizione delle regioni più povere diventa un problema dell’intero Stato. La Lega fu secessionista nella seconda metà degli anni Novanta quando ritenne che la maggioranza del Nord, se l’Italia non fosse riuscita a entrare nel club dell’euro, avrebbe approvato la sua linea. Divenne federalista quando capì che la sua strategia era fondata su una previsione sbagliata. Ma il federalismo comporta, come lei osserva, una certa ridistribuzione della ricchezza nazionale. La Lega ne è consapevole?
Il problema, caro Marchand, è che la ridistribuzione del reddito nazionale è stata per molto tempo il principale strumento della politica meridionale del governo centrale. Troverà a questo proposito una analisi molto interessante e parecchie cifre nel libro recente di Luca Ricolfi («Il sacco del Nord. Saggio sulla "giustizia territoriale"») pubblicato dall’editore Guerini. Occorre quindi ridistribuire, ma non è possibile continuare a farlo con formule che hanno incoraggiato gli sprechi, la burocrazia parassitaria, l’economia clientelare. La Lega, come ha spiegato Roberto Calderoli sul Corriere del 24 aprile, ritiene di poterlo fare con il «federalismo fiscale», vale dire con un sistema che prevede finanziamenti centrali vincolati a standard di efficienza, una maggiore capacità impositiva delle regioni e, quindi, una più diretta responsabilità degli amministratori locali. Sull’effettivo funzionamento di questo sistema Giovanni Sartori ha dubbi giustificati. Ma in mancanza di altre proposte questo è probabilmente il federalismo che l’Italia cercherà di realizzare nei prossimi anni.
Sergio Romano