Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 05/05/2010, 5 maggio 2010
EMIGRANTI, TUTTE LE PAROLE PER DIRLO - BALIE «
Sia la nutrice di mediocre grassezza, abitualmente sana e vigorosa senza deformità apparenti, piuttosto bruna, che bionda, non mai di capelli rossi: le donne di rossa capigliatura hanno d’ordinario una traspirazione cutanea assai fetida. Abbia bianchi ed interi denti, le gengive sode, le labbra vermiglie, l’alito dolce, non abbia la pelle scabra, sudicia, coperta da eruzione. (...) Sia la voce soave e bene articolata. (...) Sia accostumata, onesta, sobria». (Andrea Bianchi, Dello allattamento, 1833: le balie italiane all’estero furono decine e decine di migliaia).
DAGO
forse il più diffuso e insultante dei nomignoli ostili nei Paesi anglosassoni, vale per tutti i latini ma soprattutto gli italiani e l’etimologia è varia. C’è chi dice venga da «they go», finalmente se ne vanno. Chi da «until the day goes» (fin che il giorno se ne va), nel senso di «lavoratore a giornata». Chi da «Diego», uno dei nomi più comuni tra spagnoli e messicani. Ma i più pensano che venga da «dagger»: coltello, accoltellatore, in linea con uno degli stereotipi più diffusi sull’italiano «popolo dello stiletto».
FUNERALI «Come mai ai funerali italiani portano la bara soltanto in due?». «Perché i bidoni della spazzatura hanno soltanto due maniglie!». il testo di una insultante vignetta anti-italiana pubblicata su un giornale australiano nel secondo dopoguerra e usata polemicamente come copertina dell’Italian Joke Book di Tommy Boccafucci. I due italiani raffigurati mentre portano un bidone da cui esce il braccio di un cadavere hanno la barba lunga, la faccia minacciosa, gli occhiali neri, l’aria dei malavitosi. HANDICAP Gli Stati Uniti, come spiegano Maurizio Eliseo e Paolo Piccione in Transatlantici, 2001, con la legge del 26 febbraio 1891 introducono norme «selettive e impietose» vietando l’ingresso a «ciechi, zoppi, gobbi, sordomuti, mutilati o deformi. Alle donne con bambini che non dimostrino di essere chiamate da parenti. Alle donne incinte non maritate o con prole senza marito. A chi è affetto da malattia nauseante o pericolosa per motivo di contagio». Una nuova legge votata dal Congresso il 20 febbraio 1907 «inasprì ulteriormente le norme istituendo severe visite mediche per l’accertamento delle persone "fisicamente e intellettualmente difettose"». Gli immigrati venivano dunque sottoposti a visite «psicologiche» con test mentali tipo: «Conti da 20 a 1 andando all’indietro».
HOLLYWOOD C’è chi ha detto che Hollywood ha fatto fortuna su due figure: l’indiano che urla e l’italiano che spara. Certo è che l’Italic Studies Institute di New York, nel 2000, si prese la briga di esaminare 1.057 pellicole girate nella Mecca del cinema a partire dal 1928, cioè dall’avvento del sonoro, in cui qualcuno aveva fatto la parte dell’italiano. I film che davano di noi un’immagine positiva erano 287 (27 per cento), negativa 770 (73 per cento). Più in dettaglio, ricorda Ben Lawton nel suo saggio pubblicato nella raccolta Scene italoamericane, gli italiani criminali erano 422 (40 per cento) contro 348 (33 per cento) rozzi, bigotti, stupidi o buffoni. Eppure molti dei grandi protagonisti di Hollywood sono stati di origine italiana: da Rodolfo Valentino a Frank Sinatra, da Robert De Niro a Leonardo Di Caprio, da Frank Capra a Martin Scorsese, da Al Pacino alla straordinaria Anne Bancroft, il cui vero nome era Anna Maria Italiano.
PENTOLED a ogni centro della Calabria partirono centinaia di poveri diavoli rimasti senza risorse, quasi tutti con un numeroso seguito di familiari, portando a tracolla il badile e le pentole di cucina. Si presentarono ai valichi di frontiera ciascuno col regolamentare documento nel quale si certificava che il titolare era un turista diretto a Nizza, oppure un signore che aveva la digestione difficile e si recava a Vichy per un breve periodo di cura. I gendarmi francesi per tre anni non fecero mai discussioni di fronte a quel documento, passarono tutti i disoccupati che salivano dalla Calabria con un plotone di figli che li seguiva, ciascuno con una pentola a tracolla. Dal gennaio del 1954 alla metà di dicembre del ”57 entrarono in Francia 50 mila di questi turisti in cerca di lavoro. E, il lettore farà fatica a crederlo, in quegli anni, benché fosse così facile entrare regolarmente nel territorio francese, ci furono molti che varcarono la frontiera clandestinamente con una lunga marcia sui nevai della Vésubie e diedero a chi li guidò un compenso che era almeno cinque volte il costo di un passaporto. Furono 10 mila i calabresi che salirono fino a Ventimiglia per concludere questo assurdo contratto. (Tommaso Besozzi, «Il Giorno», 9 febbraio 1958.)
SCHIAVI In Brasile i nostri emigranti furono chiamati spesso a sostituire gli schiavi neri dopo l’abolizione della schiavitù. Racconta Emilio Franzina nel saggio La terra, la violenza, la frontiera: «Un telegramma d’un fazendeiro brasiliano reclamava perfino un carico di giovanette italiane, dai 16 ai 25 anni, per surrogare le abolite schiave nella lavanda dei piedi ai padroni quando essi rientravano impolverati e stanchi dalle piantagioni del caffè».
TERZA CLASSE La differenza tra le classi era enorme. Ci volle una legge, ai primi del Novecento, per costringere i transatlantici ad aver sale da pranzo per gli emigranti. Fino ad allora, raccontano ne Il pane duro Oreste Grossi e Gianfausto Rosoli, «la distribuzione del cibo era fatta in maniera umiliante, senza l’osservanza delle elementari norme igieniche». Scrive nel 1910, nel libro L’assistenza sanitaria degli emigranti e dei marinai, il colonnello medico Teodorico Rosati: «Accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatto fra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, i nostri emigranti mangiano come i poverelli alle porte dei conventi. un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovesciano le immondizie volontarie e involontarie di quelle popolazioni viaggianti».
WOP «Wop» è stato uno dei soprannomi più comuni e più offensivi degli italiani negli Stati Uniti, dov’era pronunciato «uapp» così da suonare come «guappo». Era l’acronimo di «without passport»: senza passaporto. Condizione comune a molti, perfino in America, dove il boss dell’Anonima Assassini Albert Anastasia diceva che la mafia era riuscita in pochi anni a far entrare clandestinamente 60 mila portuali italiani a New York a dispetto del filtro di Ellis Island. Gli italiani espatriati senza passaporto, in oltre un secolo, sarebbero stati almeno quattro milioni.
XENOFOBIA L’ostilità verso i nostri emigrati è stata pesante in molti Paesi del mondo. Basti ricordare che, come scriveva sul «Corriere della Sera» l’inviato Filippo Sacchi, nel luglio del 1925 i giornali australiani erano pieni di titoli sull’«invasione italiana» e che al «congresso dell’Australian Native Association», così forte da avere 50 mila «aderenti d’ogni ceto, specie industriale, commerciale e professionale», il presidente, mister Ginn, tuonò: «Che cosa è questo improvviso intensificarsi del fiotto immigratorio? C’è forse qualche influenza in gioco? Qualche piano organizzato di penetrazione pacifica? Australiani, all’erta. Badate che la vostra apatia non prepari un terribile risveglio per i vostri figli. Noi non vogliamo che le condizioni sociali ed economiche dell’Australia siano minate da un inevitabile incrocio con gli stranieri, incapaci di sentire le nostre tradizioni, di rispettare la nostra bandiera». Il grande inviato raccontava che un quotidiano di Melbourne aveva titolato un articolo sulla nostra immigrazione: L’invasione delle pelli-oliva. E che al congresso delle donne «un’oratrice autorevole, nell’esortare le massaie australiane a non comperare frutta dai negozi italiani, anche se questi praticano prezzi più moderati, lamenta che dopo aver tanto fatto per difendere l’Australia "bianca" dalla minaccia degli asiatici, "emigranti oliva continuano a stabilirsi nel Paese"».
Gian Antonio Stella