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 2010  maggio 05 Mercoledì calendario

CI VEDEVAMO IN PIAZZA SAN CARLO, PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA SFIDA TORINESE

Si dice che vita politica di Torino si sia sempre svolta all’ombra del monumento equestre a Emanuele Filiberto, sotto i portici, o nei caffè di piazza San Carlo. Quasi 13 mila metri quadrati che i torinesi chiamano «il salotto buono» e sui quali si affaccia, tra gli altri, Palazzo Turinetti di Pertengo, già quartier generale della prima banca piemontese, il Sanpaolo, oggi sede legale della prima banca italiana, Intesa Sanpaolo.
Oggi più di ieri è idealmente piazza San Carlo il teatro sul quale vanno in scena in un sol colpo una vicenda bancaria nazionale e una crisi tutta interna alla città sabauda e alla quasi cinque centenaria Compagnia di Sanpaolo. Il protagonista della storia è suo malgrado Angelo Benessia, il presidente della fondazione che di Intesa Sanpaolo è il primo azionista. Nominato per acclamazione meno di due anni fa, era il giugno del 2008, tra le dichiarazioni entusiastiche dei consiglieri della Compagnia, Benessia rischia ora di essere sfiduciato dal suo stesso parlamentino. All’interno del quale più d’uno in queste ore pare si sia ritrovato a rimpiangere quel vecchio adagio del predecessore di Benessia, Franzo Grande Stevens: «Bisogna sempre servire la Compagnia, mai servirsi della stessa».
All’avvocato d’affari chiamato alla guida della Fondazione, la maggioranza dei consiglieri vuole chieder conto di una gestione definita «malaccorta» e «personalistica» delle nomine per la presidenza del consiglio di gestione della banca. L’appuntamento è per il 12 maggio, quando è convocato un consiglio generale nel cui ordine del giorno lo stesso presidente ha dovuto accogliere la richiesta «di disamina e valutazione dell’operato» del vertice’ oltre a Benessia il segretario generale Pietro Gastaldo e l’intero comitato direttivo’ «con particolare ma non esclusivo riferimento» alla questione della banca. Sono parole contenuta nella lettera con la quale i "dissidenti" chiedevano nella giornata di lunedì «la verifica della sussistenza del rapporto di fiducia» e annunciavano «l’eventuale assunzione immediata di ogni decisione imminente e conseguente».
A bruciare è tra le altre cose lo schiaffo arrivato dall’ex ministro del Tesoro, Domenico Siniscalco, che si è sfilato in extremis dalla corsa per la presidenza del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo accusando la Compagnia di aver fatto «giochi da pollaio sulla prima banca italiana».
L’uscita di scena di Siniscalco, sostenuto da Benessia e ancor più dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha fatto detonare il malessere che ribolliva sotto la Mole. Dove adesso, più che un «tutti contro tutti», sembra si stia giocando un «tutti contro uno», cioè Benessia. A chiederne le dimissioni non sono solo i consiglieri è anche la politica, in assetto bipartisan.
Dalla fronda si chiama fuori però Suor Giuliana, sociologa, master in Scienze del Comportamento conseguito negli Stati Uniti, già direttore del Cottolengo e oggi consigliere della Compagnia. Il suo nome risulta tra i tredici firmatari della rivolta. Ma lei la vede così: «Non c’è alcuna condanna a Benessia, solo una richiesta di chiarimenti».
Da chiarire pare ci sia molto, per la Torino politica e finanziaria, a partire dal fatto che da questa storia bancaria la città e la Compagnia ne escono, si riconosce, «con le ossa rotte». Benessia dovrà spiegare, ha tra le altre cose ribadito un altro consigliere e sociologo, Bruno Manghi, «com’è che per quasi ventidue mesi la preoccupazione del vertice è stata uma sola: sostituire Enrico Salza. E i temi strategici e l’equilibrio tra Milano e Torino si sono ridotti a chiacchiere». E le «chiacchiere» che animano le discussioni sotto i portici di Piazza San Carlo sono in gran parte riconducibili proprio all’effetto-paradosso della non corrispondenza tra la quantità delle azioni posseduta in Intesa Sanpaolo, quasi il 10%, e il peso effettivo nella governance della banca, uguale o inferiore ai lombardi della Cariplo, guidati da Giuseppe Guzzetti, che conducono i giochi con una partecipazione che non arriva al 5%.
Manghi, insieme ad altri tre dei consiglieri firmatari del documento’ si tratta di Guido Groppo, Carlo Ossola, Matteo Caroli – ha precisato ieri che l’obiettivo di questa mossa che ha portato lo scompiglio sull’intera direttrice Torino-Milano era «sollecitare un’aperta discussione critica sulle strategie della Compagnia e sui suoi organi», e non «quello di interferire nel processo di designazione dei vertici della banca, che deve seguire la strada tracciata».
E ancora nelle «chiacchiere» ai tavolini di Piazza San Carlo si "legge" nella crisi della fondazione, la parabola di un’intera comunità autoreferenziale alle prese con la fine di un ciclo politico, il secondo mandato di Chiamparino e l’avanzata leghista. Anche la proiezione sempre più internazionale della Fiat non è senza conseguenza. Cominciano a mancare i punti di riferimento? «Nell’incertezza – osserva il vicepresidente Luca Remmert – la Compagnia avrebbe potuto e dovuto essere un faro, un’ancora, un elemento di stabilità».
Paola Pica