Goffredo Buccini, Corriere della Sera 05/05/2010, 5 maggio 2010
DA VILLA STUART AL BAR ROSATI I GIOIELLI DELLA «DOLCE ROMA» – «
Era il tempo dei convogli e degli abbracci/ il mondo era là in quella vecchia vetrina opaca », poetava Michele Parrella, uno dei cento giovani intellettuali che, mentre la vita romana stava diventando dolce, tiravano le tre di notte ai tavoli di Rosati, dal lato di piazza del Popolo verso il Tevere, sulle orme di Flaiano e Monicelli, di Fellini e Moravia. Dall’altra parte del fiume, e salendo per Monte Mario, a quel tempo le suore missionarie dello Spirito Santo erano riuscite a scacciare, con molte preghiere e tanto lavoro accanto agli infermi, l’alone sinistro che gravava su una delle dimore più belle delle colline romane, Villa Stuart, con le sue storie di occultismo e di assassinii che pesavano sulla contessa inglese Emmeline, l’antica proprietaria: presto la villa sarebbe diventata clinica per politici e ambasciatori, attrici e calciatori, fino a Totti e a Berlusconi e ai cortei di fan e ai cordoni di poliziotti tra le querce del parco, sicché la gente comune ma danarosa avrebbe quasi fatto a gara ad ammalarsi pur di finire al quarto piano, quello riservato ai vip e oggi affidato alla regia sapiente di Bruno Turchetta, vero patron della clinica. Tanti vip, già dagli anni Settanta. Per dire, il giorno che Alighiero Noschese s’ammazzò proprio tra quelle querce, con una calibro 38 che non s’è mai capito come fosse nelle sue mani, erano ricoverati lì anche Andreotti per un intervento alla cistifellea e Mariolina Cannuli, la felpata presentatrice della Rai che proprio Noschese aveva reso famosa con le sue imitazioni.
Ci sono posti come questi, a Roma, dove la cronaca e la storia giocano a rimpiattino. Sicché non è strano adesso trovare Rosati e Villa Stuart, o certi loro frammenti che sono poi le quote societarie, nel calderone d’indagine su Ciarrapico, come tesori da tenere sigillati almeno nelle carte giudiziarie. Roberto D’Agostino, analista di generi e generoni capitolini, dice che «Roma è unica proprio per questo: Milano o Torino non hanno mai mescolato così l’alto e il basso, l’intellettuale e la squillo, il poeta e la commessa». Insomma, l’inventore di Dagospia spiega che solo in questi paraggi si tengono così bene insieme «Ciociaria Oggi, Villa Stuart con le tibie dei pallonari e un bar come Rosati dove il Ciarra, del resto, era sempre presente». Ci sono cose che non hanno prezzo, e i bagliori di quella «vetrina opaca» cantata da Parrella devono essere di questo tipo. «Tutto si aggiunge e nulla si esclude» è il motto di una città che ha infatti aggiunto ai fasti di Rosati quelli del vicino Bolognese (il generone s’è spostato alla porta accanto e lì, ora, s’appostano più spesso i paparazzi d’assalto, come quelli che pedinarono Silvio Sircana per sbatterne in pagina i tour nella Roma by night della seconda stagione prodiana).
Dai tavolini gremiti di americani e giapponesi che hanno rubato il posto ai Siciliano e ai Berto, sotto gli orribili «funghi» che irradiano troppo caldo nel mite inverno romano, sembrano lontani i giorni in cui Flaiano diceva che davanti a Rosati c’era sempre una buca con un cartello di «lavori in corso» e che capire di quali lavori si trattasse significava decifrare i segreti politici della città. Lontani i tempi che ricorda Giovanni Russo nei libri e negli articoli: «Sai, la società italiana è vittima della televisione, chi vuoi che vada più a discutere in un caffè?». Giovanni rammenta una sequela di soprannomi per gli avventori e uno in particolare, un po’ crudele, per Giuseppe Lupis, che veniva sempre con Saragat: «l’abominevole uomo delle nevi». Oggi col «Porcellum» sarebbe bastato un tratto di penna per eliminare il povero deputato psdi dalla lista delle politiche o un tocco di bisturi per ingentilirne il rude profilo, magari sulla collina, lassù a Villa Stuart.
Perché, salendo per i tornanti della Trionfale, tutto questo è diventato negli anni la casa di cura più ambita dai romani: happening e salvazione, scienza medica e cultura pop. Quest’inverno Berlusconi è salito qui da Palazzo Grazioli in preda a una «cervicalgia acuta»: il tempo di una risonanza e la crisi è passata. Quassù il miracolo contro il male (inteso anche come male estetico, disarmonia del viso o del corpo) è sempre possibile come testimoniano le apparizioni blindate di star e starlette, dalla Arcuri alla Marcuzzi. E, soprattutto, i soggiorni infiniti dei nostri gladiatori, i signori del pallone. «Faccio prima a dire chi non ho portato quassù», sorride Mario Brozzi, per nove anni medico sociale della Roma Calcio, entrato in politica con la Polverini. Da Pierpaolo Mariani, «il mago delle ossa», sono arrivati pure i laziali, come Nesta a suo tempo, prima di dividersi dai cugini preferendo la Mater Dei. Qui sono passati Emerson, Batistuta, Montella, ma è Totti il mito: due volte caduto sul campo, due volte risorto al quarto piano. Brozzi, che è uomo spiritoso, gli portò la Nutella per vezzeggiarlo e ancora sorride: «Nella sua stanza c’era una processione come a San Giovanni Rotondo, tutti a toccare il piede dell’eroe. Era un luogo di culto e di divinazione». Giù da Rosati, quando all’inizio degli anni Settanta s’assiepavano ai tavolini le comparse dei western all’italiana, Flaiano meditava sprezzante: «Credono di essere noi». Adesso almeno questo è cambiato: nessuno sa neanche più chi crede di essere.
Goffredo Buccini