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 2010  maggio 05 Mercoledì calendario

CHI PENSA ALL’INTERESSE DELLA BANCA

Attenzione, là fuori c’è una banca. La prima banca del Paese, per l’esattezza. Intesa-Sanpaolo ha undici milioni di clienti, 100 mila dipendenti, crediti per 380 miliardi e - mai come ora - grandi soci assai litigiosi.

Da troppe settimane, ormai, attorno a Intesa-Sanpaolo si sta giocando una partita per il rinnovo delle cariche sociali fuori da ogni regola; una partita che non solo rischia di lasciare strappi evidenti - anche se entro sabato i giochi dovrebbero essere finalmente fatti - ma soprattutto colpisce perché nella rissa permanente si perde di vista l’interesse della banca stessa, sacrificato di volta in volta a polemiche locali o interessi di parte. E dietro il fumo dei conflitti diventa difficile scorgere una visione strategica da parte dei soci su compiti e prospettive dei manager, nuovi o vecchi che siano.
La questione del contendere non è complicata. La banca ha un sistema di governo a due livelli: sopra c’è il consiglio di sorveglianza, presieduto da Giovanni Bazoli, dove stanno i rappresentanti degli azionisti; sotto il consiglio di gestione, finora presieduto da Enrico Salza, che dovrebbe ospitare figure manageriali. La Compagnia di Sanpaolo, il socio torinese cui spetta in base agli accordi fondativi, il diritto di indicare questa figura, ha deciso di chiudere con Salza e indicare un altro candidato.
Ad Angelo Benessia, presidente della Compagnia di Sanpaolo e massimo critico di Salza, gli avversari imputano un atteggiamento ondivago e in buona sostanza controproducente nella vicenda. E in effetti la maldestra gestione della candidatura di Domenico Siniscalco prima, e poi il cambio in corsa sulla candidatura di Andrea Beltratti dimostrano chiaramente le difficoltà dello stesso Benessia a gestire processi complessi e mediati come quelli che dovrebbero portare alla nomina condivisa di uno dei vertici della banca. E assieme a lui non ha certo brillato buona parte della politica locale, a cominciare dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che ha cercato di mettere - ma non era Umberto Bossi quello che doveva partire all’assalto del potere bancario? - tutto il suo peso nella partita. Non si può dire però che gli oppositori di Benessia stiano facendo un migliore figura in queste ore, tra convocazioni carbonare che arrivano prima ai giornali che non agli organi della stessa Compagnia, attacchi personali al presidente e veleni di vario genere messi in circolazione. E nelle scorse settimane non sono forse state altre fondazioni, come la Cariplo, a far prevalere un interesse tutto sommato specifico - come il mantenimento del presidente uscente - su un interesse generale a cercare una soluzione condivisa? Insomma, tutta la vicenda pare essersi trasformata in un improprio referendum sulla figura di Salza invece che in un percorso per scegliere il miglior presidente possibile per la banca.
Intendiamoci, nessuno si scandalizza nel vedere in corso una partita di potere. Che le fondazioni bancarie siano uno snodo fondamentale tra politica ed economia, è stato ripetuto fino alla noia. E che una dialettica tra i grandi azionisti delle banche e il management sfoci talvolta in contrasti anche aspri - per informazioni chiedere alle fondazioni socie di Unicredit - è quasi fisiologico. Ma nel caso di Intesa-Sanpaolo quel che colpisce è il logorante conflitto, da cui nessuno esce vincente, che va in scena specie a Torino e l’affermarsi della politica nella sua peggiore declinazione: personalismi, consorterie, regolamenti di conti post-elettorali che alimentano un clima di rissa continua, con pochissima attenzione a quello che dovrebbe essere l’interesse principale degli azionisti, ossia la tutela di quell’Intesa-Sanpaolo in cui hanno investito - la Compagnia torinese più di tutti - il proprio patrimonio. Fuori dalle stanze delle fondazioni, ricordiamocelo, c’è una banca.