Antonio Mazzocchi, A tavola con la storia, Minerva Edizioni, Bologna 2009, pp. 233, euro 19,00., 5 maggio 2010
A tavola con la storia
Notizie tratte da: Antonio Mazzocchi, A tavola con la storia, Minerva Edizioni, Bologna 2009, pp. 233, euro 19,00. Per colpa dell’ulcera gastrica Napoleone mangiava solo cose semplici come zuppe di patate, di fagioli e di cipolle. Nel 1833 Ferdinando II si recò a Torre Annunziata per vedere come si facessero i maccheroni. Entrato in una fabbrica, scoprì orripilato che per impastare non si usavano le mani, ma i piedi. Incaricò allora l’inventore Cesare Spadaccini di progettare una macchina per fare il lavoro degli operai. Nacque così ”l’uomo di bronzo”, un marchingegno che riproduceva l’azione dei piedi umani. L’invenzione piacque al re, che decise di finanziare per qualche anno un pastificio all’avanguardia. Ferdinando II, appassionato di maccheroni, di pizza, di caponata e di cipolla (di cui i suoi abiti odoravano perennemente). Ferdinando I di Borbone per risultare simpatico al popolo si metteva in piazza a ingozzarsi di spaghetti, impigliandosi nei fili di pasta come un buffone. Fino a metà Ottocento la pasta era solo in bianco, «incaciata», cioè cosparsa di formaggio. Quando si cominciò a mettere il pomodoro, sorse la difficoltà delle forchette: avevano soltanto tre denti e raccoglievano la pasta facendo scivolare via la salsa. Perciò, spinto da Ferdinando II di Borbone, il ciambellano di corte inventò la forchetta a quattro rebbi, molto più efficace. Banchetto futurista al ristorante Penna d’Oca di Milano (15 novembre 1930): oca grassa, gelato nella luna, lacrime del dio Gavi, brodo di rose e sole, favorito del mediterraneo zig, zug, zag, agnelli arrosto in salsa di leone, insalatina all’alba, sangue di bacco ”terra ricasoli”, rotelle tempiste di carciofo, pioggia di zuccheri filati, schiuma esilarante ”cinzano” e frutta colta nel giardino d’Eva. «L’antivirile pastasciutta è ormai il nemico numero uno della cucina futurista, in quanto non nutre, riempie solamente la bocca, così come la nostra retorica. In una parola la pastasciutta non è il cibo dei combattenti» (Filippo Tommaso Marinetti). Ricetta futurista: pollo d’acciaio, o pollo Fiat (formula del pittore Diulgheroff). Arrostire un pollo svuotato del contenuto. Appena freddo, praticare un’apertura sul dorso e riempire l’interno di zabaione rosso su cui bisogna disporre due etti di confetti sferici argentati. Attorno all’apertura del dorso, appoggiare delle creste di pollo. Il Carneplastico, inventato dal futurista Fillìa, rappresenta i giardini, gli orti e i pascoli d’Italia. composto da una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Disposta verticalmente al centro del piatto, è cosparsa di miele e sostenuta alla base da un anello di salsiccia che a sua volta poggia su tre sfere dorate di carne di pollo. Alcune parole straniere italianizzate dai futuristi: ”polibibita” anziché ”cocktail”, ”quisibeve” al posto di ”bar”, ”traidue” invece di ”sandwich”, ”per alzarsi” come ”dessert”, ”pranzoalsole” invece di ”pic nic”. Leonardo Da Vinci, ai tempi in cui era nella bottega del Verrocchio, trascorreva le sere facendo il cameriere alla taverna delle Tre Lumache. Appassionato di cucina, provò a servire ai clienti piatti di sua invenzione, che però non furono graditi (una sera fu costretto a scappare per evitare di essere picchiato). La taverna fu distrutta da un incendio e Leonardo, insieme all’amico Botticelli, ne aprì una chiamata Le tre rane. I piatti forti erano: baccalà, ribollita, arista, ranocchi fritti. Pochi clienti, fu costretto a chiudere. Leonardo per più di trent’anni fu Sovrintendente alle mense di Ludovico il Moro, a Milano. Gli sottopose, con scarso successo, alcuni piatti pensati da lui: cuori di carciofo, involtini d’acciuga in cima a rondelle di rapa scolpite e mo’ di rane, cetrioli su foglie di lattuga. Leonardo progettò le cucine del Castello di Ludovico il Moro. Inventò un arrostitore automatico, uno scaldabagno a carbone, un tritamanzo, un affettapane a vento ecc. Una volta il suo affetta-crescioni gigante uccise nove persone. Tra le macchine di Leonardo, quella che trasformava gli impasti in «lunghe striscioline, che tagliate e messe nell’acqua bollente diventano spago mangiabile». Per scegliere le pietanze da mettere nell’Ultima cena Leonardo ci mise parecchio. Alla fine optò per pagnotte varie, purè di rape (il piatto preferito di Ludovico il Moro) e anguilla a fettine. Dalì pescava sardine nella caletta di Port Lligat che poi arrostiva di persona, su brace di tralci di vite. Le mangiava con le mani, poi si toccava i capelli senza lavarsele. L’amica Coco Chanel lo prendeva sempre in giro per la puzza. Per dipingere gli orologi molli Dalì s’ispirò alla morbidezza e alla forma del Camemebert. Dalì andava a mangiare all’hotel Duran di Figueres, dove cominciava tutti i suoi pasti con una zuppa di timo all’uovo. Alessandro Manzoni, ghiotto di polpette. Per le sue collaborazioni alla rivista Cronaca bizantina, Giusuè Carducci veniva pagato con barili di vernaccia. Carducci a Napoli: «Tutti i giorni mangio dodici ostriche e bevo una bottiglia e mezzo o due di Posillipo o di Vesuvio, con un piatto di pesce o di carne, maccheroni e frutta e non altro». Agatha Christie a Firenze, appena uscita dagli Uffizi, s’infilò in una pasticceria per ingozzarsi di panna e dolcetti al caffè. Marlene Dietrich e lo scrittore Erich Maria Remarque si amarono per più di trent’anni, fino alla morte di lui avvenuta nel 1970. Spesso lontani, si scrivevano lettere anche per scambiarsi ricette. Una volta, nel 1942, Remarque le spedì una salsiccia di fegato con la scritta: «Accludo – in ricordo dei vecchi tempi – qualcosa a consolazione degli afflitti. Mangia e dimentica». Il piatto preferito di Giuseppe Verdi era la spalla cotta di San Secondo. Questa la ricetta scritta da lui per gli amici (il conte Arrivabene, Giulio Ricordi e la cantante lirica Teresa Stoltz): «Per cuocere bene la spalletta bisogna: 1) metterla nell’acqua tiepida per circa dodici ore, onde levargli il sale. 2) Si mette dopo in altra acqua fredda e si fa bollire a fuoco lento, onde non scoppi, per circa tre ore e mezzo, e forse quattro la più grossa. Per sapere se la cottura è al punto giusto, si fora la spalletta con un curedents (stuzzicadenti) e, se entra facilmente, la spalletta è cotta. 3) Si lascia raffreddare nel proprio brodo e si serve». Gioacchino Rossini, capace di mangiare dodici bistecche una dopo l’altra. Rossini nel 1842, in occasione della prima bolognese del Mosè in Egitto [si tratta probabilmente dello Stabat Mater diretto da Donizetti il 18 marzo. Controllare comunque - ndr], inventò il fagiano nella piramide di sale, farcito di erbe aromatiche (lauro, ginepro, rosmarino e timo) e avvolto in una garza strofinata d’aglio. La mummia, ricoperta di sale grosso in forma di piramide, fu cotta in forno e servita su una montagnola di couscous, simboleggiante la sabbia del deserto. L’aria rossiniania ”Di tanti palpiti”, del Tancredi, detta anche ”l’aria del riso” perché Rossini la compose mentre, un giorno a Venezia, aspettava che il suo riso si cuocesse. Ricette pensate da Giacomo Puccini: pasta con le anguille e aringhe coi ravanelli. Garibaldi mangiava poche e semplici cose: pane, formaggio, fave (che erano la sua passione), zuppe di verdure e legumi, stoccafisso, salame e fichi secchi. Era astemio ma beveva molto caffè. Mussolini oltre alla pastasciutta amava la minestra in brodo, la gallina bollita, i budini di Rachele e la frutta. Beveva tanto latte, limonate, aranciate e le spremute di pompelmo. Acqua solo minerale e frizzante. Tutti i pasti si concludevano con una tisana.