Fosca Binker, Libero 5/5/2010, 5 maggio 2010
IL NULLATENENTE CHE COMANDA TUTTI
C’è una telefonata intercettata fra il direttore degli affari legali del gruppo e la segretaria personale dell’attuale senatore Giuseppe Ciarrapico in cui con semplicità una dice all’altra «uè, senti... io sono andata stamattina al Policlinico Casilino a parlare con Tullio, dobbiamo fa un sacco di impicci». Eccola, la chiave: «un sacco di impicci». E di «un sacco di impicci» sono piene le 61 pagine del decreto di sequestro preventivo di oltre 20 milioni di euro firmato ora dal gip del tribunale di Roma, come la storia stessa dell’ex re delle acque minerali. Non c’è sua avventura imprenditoriale (editoria, catering, ristorazione, sanità, acque minerali, alimentare, finanza) che non sia costellata da «un sacco di impicci» sempre sfociati in vicende giudiziarie da cui Ciarrapico, ”il Ciarra” è riemerso talvolta faticosamente dopo anni. Impicci nel carteggio scoperto ora dai magistrati con la Banca della Ciociaria a cui Ciarrapico sbagliandosi (non poteva firmare lui e così poi ha mandato una seconda lettera firmata da Giulio Caradonna) chiede un fido da 75 mila euro per le sue Edizioni Ciarrapico per un’iniziativa editoriale di supporto a un libro di Giampaolo Pansa. Quella è la motivazione ufficiale del tutto inventata ma nelle carte sequestrate alla segretaria di Ciarrapico si scopre che il fido serviva a pagare una gita organizzata di nostalgici a Predappio e il catering servito dal Bar Rosati. Il Ciarra era in origine intestatario di tutte le attività del suo gruppo. Poi travolto da una raffica di vicende giudiziarie e colpito dalle pene accessorie, non è più potuto risultare intestatario di nulla. Per ogni società ha messo in campo un prestanome fidato, negando naturalmente di esserne il proprietario. Finchè non è andata in pensione ha collaborato come azionista palese la sua storica segretaria, Marisa Petazzo. Poi ha dovuto contare su altri. Il Bar Rosati ad esempio risulta intestato al suo autista, Mauro Ballini. Ma che fosse cosa di famiglia si comprende bene da una telefonata intercettata alla consorte di Ciarrapico, Anna Paola, in seguito alla quale si sono fatturati alla società che controllava il Rosati i lavori effettuati alla tappezzeria di casa del senatore. Stesso schema per le cliniche e le società editoriali. Lui il Ciarra non doveva figurare ufficialmente. Ma poi si faceva prendere la mano. Disegnava organigrammi interni, decideva aumenti di stipendio e punizioni, dispensava favori. Scriveva, all’epoca di Francesco Storace, all’assessore Andrea Augello per avere finanziamenti e accreditamenti per le cliniche. Cambiata la maggioranza scriveva di suo pugno a Piero Marrazzo per le stesse cose. Altra lettera trovata a Maurizio Venafro, direttore comunicazione e relazioni esterne della Regione Lazio all’epoca di Marrazzo, per sollecitare due delibere di giunta sul Policlinico Casilino e la clinica S. Elisabetta. La finzione così crollava davanti ai protocolli ufficiali. Ed è stata disintegrata dal reperimento di una chiavetta usb in casa della segretaria di Ciarrapico dove era contenuta la mappa delle 90 società possedute dall’imprenditore-senatore e perfino alla sua reale situazione patrimoniale e reddituale. I magistrati hanno così scoperto che i finanziamenti pubblici per l’editoria come quelli per altre attività finivano in un calderone indistinto utilizzati secondo bisogni assai differenti e perfino per scopi del tutto personali, andando ad arricchire i conti dell’imprenditore e dei suoi figli scoperti in Lussemburgo. Scrivono i pm: ”la libera disponibilità delle risorse delle due società editrici si è tradotta nella loro costante indebita appropriazione, operata da Ciarrapico Giuseppe, sia facendole entrare nel proprio patrimonio personale come dimostrano gli accertati trasferimenti di denaro in suo favore, sia attraverso la distrazione dei mezzi finanziari delle società editrici (...) come dimostrano l’utilizzo esclusivo delle carte di credito, il finanziamento di eventi e manifestazioni, il sostenimento di oneri relativi ad imbarcazioni e automobili”. Una lunga serie di ”impicci” che si aggiunge a quella infinita e variopinta che già ha costellato la vita imprenditoriale del Ciarra. C’è l’ultima vicenda, quella della denuncia per stalking editoriale presentata dai pm di Cassino su denuncia della direttrice di Tele Molise, da lui perseguitata a mezzo stampa. Ma è acqua di rose al confronto di pesanti condanne passate in giudicato e già scontate, anche se non sempre onorate fino in fondo. Fra le più famose quella per il crack del Banco Ambrosiano: il Ciarra è stato condannato a risarcire 500 mila euro ai piccoli azionisti. C’è il loro rappresentante comune, un energico ultranovantenne che prova ogni mese a riscuotere e rimane sempre senza un cent. Chissà se ha ottenuto qualcosa di più il fisco italiano, che nel 2008 alla vigilia delle elezioni gli mise ipoteca legale per 1,4 milioni non pagati. Lui disse che in base al decreto mille proroghe in corso di approvazione si sarebbe avvalso della possibilità di rateizzare il dovuto. Non se ne è saputo più nulla. Inchieste su acque minerali, su Italsanità e la gestione del Policlinico Casilino, vendita della Ciappazzi, crack del suo gruppo Italfin, finanziamenti della Safim gruppo Efim: una serie infinita di ”impicci”. Ma lui passate le bufere è sempre riuscito a trovarne di nuovi.