Varie, 5 maggio 2010
PROPUBLICA PER VOCE ARANCIO
Per la prima volta un’inchiesta realizzata da un sito Internet ha vinto il Pulitzer, il maggiore riconoscimento del giornalismo americano. Il premio per il giornalismo investigativo è stato assegnato a Sheri Fink, del sito ProPublica.org. La giornalista ha documentato il dramma dei medici di New Orleans, in attività negli ospedali allagati e privi di energia elettrica dopo l’uragano Katrina (2005), costretti a praticare iniezioni letali ai pazienti che non potevano essere trasferiti altrove. Il servizio da New Orleans è stato messo online con foto e approfondimenti multimediali ed è anche stato pubblicato come semplice articolo dal New York Times Magazine.
Pulitzer al web anche nella categoria delle vignette (editorial cartooning): ha vinto Mark Fiore, che pubblica i suoi lavori soltanto nell’edizione online del San Francisco Chronicle.
La redazione di ProPublica è a Manhattan ed è composta da 32 giornalisti. Il sito, ideato nel 2007, cominciò a svolgere inchieste nel gennaio 2008. I primi servizi furono pubblicati a giugno del 2008.
Il direttore di ProPublica è Paul Steiger, 67 anni, che per per 16 anni è stato direttore al Wall Street Journal e per 10 ha fatto parte del consiglio del Premio Pulitzer. Steiger è al suo diciassettesimo Pulitzer: gli altri sedici li ha vinti con il Wall Street Journal. ProPublica.org è stato ideato nel 2007 dallo stesso Steiger e da Stephen Engelberg, del New York Times. L’intento era quello di finanziare, grazie alle offerte dei donatori, il giornalismo d’inchiesta. I servizi dei reporter vengono pubblicati sul sito, ma possono essere ripresi gratuitamente dalle altre testate giornalistiche. ProPublica, che è un’associazione non-profit, è sostenuta dalla Fondazione di Herbert e Marion Sandler, miliardari californiani che assicurano un budget di 10 milioni di dollari l’anno (Herbert Sandler è stato per anni amministratore delegato della Golden West Financial Corporation, ha poi venduto la propria compagnia alla Wachovia Bank per 24 miliardi di dollari).
La testata sta cercando di espandere la base dei suoi sostenitori: nel 2009 un milione di dollari è stato concesso da fondazioni come dal Harvard’s Transparency Policy Project di Mary Graham, e nel 2010 questo budget dovrebbe raddoppiare. Il finanziatore Sandler, però, spera che le risorse maggiori prima o poi comincino ad arrivare dal coinvolgimento dei cittadini americani. Essendo una organizzazione non-profit, ProPublica spende nelle inchieste tutti i soldi che riceve e non paga tasse.
Il giornalismo d’inchiesta, che richiede parecchie ricerche e approfondimenti, è molto costoso ed è considerato ormai un lusso negli Usa, dove più di 6 testate su 10 non contano nemmeno un reporter investigativo. L’inchiesta di Sheri Fink, vincitrice del Pulitzer, è costata circa 400mila dollari (circa 270mila euro) tra editors, fotografie collaboratori. Per realizzarla ci sono voluti due anni.
Una ricerca dell’Università dell’Arizona tra i 100 maggiori quotidiani americani rivela che il 37% non ha reporter investigativi a tempo pieno e solo il 10% ne ha più di 4 nella propria redazione. Sempre meno si spende in inchieste e i giornalisti specializzati perdono il lavoro: secondo l’American Society of News Editors 5.900 posti di lavoro redazionali (quasi l’11% del totale) sono stati tagliati solo nel corso del 2008. Investigative Reporters and Editors, associazione del settore, ha ammesso che nel 2009 i suoi iscritti sono calati del 15%.
Nel 2009 ProPublica ha prodotto 138 inchieste di rilievo, in collaborazione con 38 riviste e giornali.
Motto del sito: «Giornalismo nell’interesse pubblico».
Paul Steiger, perché ha lasciato il Wall Street Journal per fondare ProPublica? «Perché il vecchio modello di giornalismo è morto, i giornali soffrono, ma c’è ancora un grande pubblico interessato alle notizie e Internet serve meglio allo scopo, e credo vada salvato il giornalismo d’indagine, che è costoso e richiede sponsor» (Anna Masera de La Stampa).
Iniziative simili a ProPublica sono California Watch e Texas Tribune.
Nuovo approccio alle news e alle inchieste su web è anche quello del sito californiano Spot Us. L’idea: «il giornalismo finanziato dalla comunità». Il sito chiede suggerimenti di inchieste, seleziona quelle meritevoli di essere seguite, e invita il pubblico a finanziare in pool i costi per la produzione dell’articolo. L’’inviato del popolo”, raggiunto il budget di spesa prevista con i contributi della gente, va a caccia di dati, interviste e commenti, e il risultato viene messo in rete. I giornali veri lo potranno anche riprendere (clic per vedere un video esplicativo sul funzionamento di Spot Us).
Come funziona il Premio Pulitzer? Parla ancora Paul Steiger: « un lavoro che osserva criteri giornalistici rigorosi indicati nel regolamento. Proprio per questo per noi americani è il riconoscimento più prestigioso nella carriera di un giornalista, che si affida ai suoi superiori per la candidatura: ma poi è la giuria a lavorare un anno intero per scegliere i migliori». Quante sono le candidature prima di avere una rosa di finalisti da cui scegliere i vincitori? «Ogni anno vengono proposti oltre 2 mila lavori e vengono assegnati 21 premi (letterari, artistici e giornalistici). Il processo di selezione comincia con la nomina di 102 giurati che si sono distinti nel loro campo, suddivisi in 20 giurie separate: fanno tre nomination in ognuna delle 21 categorie, di cui 14 giornalistiche, per le quali all’inizio di marzo 77 giurati si riuniscono alla scuola di giornalismo della Columbia University per giudicare gli articoli in lizza». C’è mai un problema di conflitto di interessi fra giuria e vincitori? «La regola è che, quando c’è un conflitto di interessi tra giurati e autori in lizza perché appartengono allo stesso giornale, il giurato lascia la stanza di valutazione» (Anna Masera, La Stampa).
L’esperimento ProPublica è interessante perché secondo alcuni può dare una risposta alla crisi della carta stampata, accelerata dal successo di Internet e tv. Infatti nel corso degli ultimi dieci anni, negli Stati Uniti, l’occupazione nella stampa su carta è passata da 415.000 a 300.000 persone; sempre negli Usa, i proventi pubblicitari, nel biennio 2008-2009, hanno subito una contrazione del 16%, toccando 38 miliardi di dollari (che, secondo le stime più recenti, scenderanno a 28 miliardi di dollari entro il 2013). Secondo gli analisti di Barclays Capital, le inserzioni sui quotidiani sono scese di circa il 25% nel 2008.
Una ricerca dell’Università di Princeton sembra dimostrare che la buona salute dei giornali aiuta la democrazia. Come prova gli studiosi hanno riportato il caso del Cincinnati Post, piccolo quotidiano locale chiuso nel 2007. La fine della pubblicazione coincise con la diminuzione dei votanti alle elezioni proprio nei quartieri dove il giornale era più letto.
Per rispondere alla crisi della stampa, ci sono numerose proposte di legge d’iniziativa parlamentare all’esame del Congresso Usa, dove per la prima volta si pensa a un intervento pubblico nel settore. Alcune prevedono imposte, ad esempio sui bingo, per finanziare i giornali (in una variante, ciascun editore dovrebbe gestire sale bingo con i cui utili tamponare le perdite dei giornali), ma sono state accantonate. L’esempio di ProPublica è invece alla base della proposta più dibattuta al momento, cioè il Newspapers Revitalization Act. Se approvato, trasformerebbe i giornali in fondazioni non-profit, con facilitazioni per le attività a ”scopo educativo”. I giornali che accettassero questo regime, già in vigore per le reti tv pubbliche, non potrebbero esprimere espliciti appoggi ai candidati prima delle elezioni, ma sarebbero liberi di trattare qualsiasi argomento, comprese le campagne locali o presidenziali. I ricavi da vendite e pubblicità sarebbero esenti da tasse e i contributi del pubblico per la produzione di notizie diventerebbero una forma di beneficenza e sarebbero fiscalmente deducibili.