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 2010  maggio 04 Martedì calendario

CHIEDIAMO ALLA GRECIA SACRIFICI CHE NON FACCIAMO PIU’

Mettiamoci una mano sulla coscienza e siamo sinceri: chi se ne frega della Grecia? Chi non dorme di notte pensando che la Grecia possa fallire? Sì, forse un tale che ha fatto di testa sua e ha comprato dei titoli greci, o forse un altro che ha in tasca il biglietto per il traghetto estivo Brindisi-Patrasso e teme che la compagnia di navigazione al momento buono non ci sia più. Casi poco significativi. E poi, cosa vuol dire che la Grecia può fallire? Si capisce come possa fallire il lattaio sotto casa, circondato dai supermercati che vendono il formaggio a prezzi più convenienti... Ma la Grecia? Uno Stato? Non resta che fidarci di chi conosce questi problemi finanziari e, quindi, immaginarsi che la Grecia possa chiudere bottega proprio come il lattaio sotto casa. Però, anche con questa fiducia nella sapienza degli economisti, continuiamo a tenere la mano sulla coscienza: forse non albeggia il pensiero che se la Grecia fallisce, noi torniamo a fare le vacanze tra le sue isolette come ai bei tempi giovanili, quando con 100mila lire si stava via un mese pur mangiando pesce tutti i giorni? Restiamo ancora un attimo con la mano sulla coscienza. Confessiamolo: pensare così è da emeriti egoisti, e se non si supera quest’egoismo non ci sarà più trippa per gatti. I nostri governanti hanno usato una metafora molto semplice per spiegare cosa succede e cosa si devefare: quando la casa del vicino brucia, è meglio impegnarci a spegnere il fuoco, altrimenti l’incendio non risparmierà neppure la nostra casa. Chiaro: dài qualcosa per ricevere qualcos’altro in cambio. Non è un gesto di generosità disinteressata: possiamo continuare a difendere il nostro egoismo esistenziale, mitigato da un bel regalo ai greci di qualche miliardo di euro. Dunque, incominciamo a capire per la prima volta, da quando le nostre finanze sono legate a doppio filo alla stessa moneta, cosa sia la res publica europea. Possiamo tenerci le nostre diverse tradizioni e culture, ma la «cosa pubblica» che ci unisce è il denaro, e nulla più che il possesso del denaro ci rende egoisti. Per salvare il nostro denaro (si ricordi la metafora della casa che brucia) dobbiamo rinunciare ad essere egoisti: uno sforzo gigantesco, eppure il solo che possa salvaguardare le nostre proprietà. Quei miliardi regalati ai greci potevamo tenerceli, ad esempio per abbassare un po’ le tasse, e invece ne facciamo un bel dono con l’esplicita intenzione di non finire incendiati. Faticoso da accettare, ma comprensibile anche da parte di sinceri egoisti. Francamente, incomprensibile è invece il comportamento dei greci, beneficiati dalla calcolata generosità europea. Sono con l’acqua alla gola, sicuramente hanno gli elementi sotto mano per capire meglio di noi cosa significhi il fallimento della loro nazione, però scendono in piazza, manifestano, protestano guidati dai loro sindacati. Sciopero generale. Cosa vogliono? Respingere gli aiuti europei per un moto di orgoglio? Nessun orgoglio nazionale: soltanto ottuso egoismo. Il nostro egoismo, quello di noi europei non greci, è mitigato dalla consapevolezza che la metafora della casa che brucia è molto convincente e ci aiuta a riconsiderare il modo di rapportarci alla comunità europea dove privilegi personalistici (e nazionalistici) finiscono per essere dannosi. I greci, invece, nell’occhio del ciclone si appellano con i loro sindacati ad anacronistici egoismi: perdere la tredicesima, diminuire lo stipendio del 30 per cento è drammatico, ma il sacrificio diventa essenziale per la sopravvivenza. Non siamo abituati a grandi sacrifici, abbiamo vissuto discretamente e,certo, di fronte al denaro che scivola via dalle tasche, le prediche in favore dell’austerità, delsuperamento degli egoismi personali fanno sempre una brutta figura. Eppure è questo l’insegnamento che ricaviamo dalla crisi greca, e se noi ci lasciamo convincere dalla metafora della casa che brucia per fare qualche sacrificio, proprio i sindacati greci farebbero bene ad abbandonare il loro velleitarismo dogmatico e ispirarsi a due vecchi modi di dire della saggezza popolare e insegnarli alla gente: è meglio tirare la cinghia oggi, piuttosto che morire di fame domani; e non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.