Walter Riolfi, Il Sole-24 Ore 4/5/2010;, 4 maggio 2010
IL GIOCO AL RIBASSO SPINGE L’EURO SOTTO 1,32
Se si dovesse misurare la reazione al piano di salvataggio della Grecia attraverso le Borse europee, si direbbe che la risposta è stata piuttosto tiepida: +0,23% per l’indice Stoxx (+0,31% Milano, +0,3% Parigi, +0,51% Francoforte). Ma se la cartina di tornasole fossero i mercati obbligazionari, allora si potrebbe pensare che il responso è stato prudentemente positivo, visti i differenziali di rendimento con il Bund tedesco calati di 5-6 centesimi per i titoli italiani e spagnoli, di 20 per l’Irlanda, di 28 per il Portogallo e di 36 per la Grecia. Se, infine, dovessimo giudicare dalle lancette di Wall Street, dovremmo pensare a una risposta entusiastica. Ma quel rialzo dell’1,31% dell’S&P (+1,53% il Nasdaq) ha assai poco a che fare con la questione greca e, invece, molto con i giochi della speculazione internazionale su azioni, oro e materie prime. Soprattutto ha a che fare con le valute, perché la tendenza è «stare lunghi» (comperare) sul dollaro Usa (e su quelli canadesi, australiani, neozelandesi) e contemporaneamente «andare corti», (vendere al ribasso) sull’euro, lo yen, la sterlina e il franco svizzero.
Concentriamoci un momento sulla valuta europea. La logica avrebbe suggerito che i 110 miliardi messi sul tavolo dai paesi euro e dal Fondo monetario finissero per alleggerire le pressioni sulla valuta comune, così come è stato per i titoli di stato e i Cds dei paesi a rischio. E in effetti, così è parso nelle prime contrattazioni dei mercati asiatici nella tarda notte di domenica. Ma dal primo mattino, l’euro aveva già ripreso a scendere accelerando la caduta dopo l’apertura di New York. In serata il cambio oscillava attorno a 1,318 sul dollaro dopo aver toccato 1,315: in linea con i minimi di qualche giorno fa e sugli stessi livelli di oltre un anno prima.
Gli operatori hanno avanzato ogni sorta di spiegazioni: quelle legate ai fondamentali dell’economia americana (leggermente superiore alle attese è stato il da-to dell’indice manifatturiero), ragion per cui la Fed inizierebbe a rialzare i tassi d’interesse prima del previsto; e quelle inerenti al salvataggio della Grecia, il cui esito sarebbe dubbio e finirebbe in ogni caso per indebolire anche i paesi virtuosi come la Germania. Non a caso, osservavano alcuni trader, i rendimenti dei bund decennali sono ieri cresciuti di 8 centesimi (al 3,06%) mentre quelli dei Treasury sono saliti appena di 3 centesimi (al 3,7 per cento).
Queste spiegazioni, pur avendo qualcosa di vero, convincono assai poco. Primo, perché il comportamento del titolo di stato Usa a 12 mesi (sostanzialmente invariato) non autorizza a credere che il mercato abbia mutato opinione sulle mosse della Fed: un rialzo dei tassi è atteso solo per fine anno. Secondo, perché i giochi degli investitori internazionali non sono semplicemente contro l’euro, ma allo stesso modo anche contro lo yen. E i grafici delle due valute rispetto al dollaro segnalano movimenti nell’arco della giornata del tutto simili e perfettamente sincroni.
La spiegazione sta probabilmente nei dati comunicati venerdì scorso dalla Commodity Futures Trading Commission che misura le posizioni rialziste e ribassiste sulle principali valute. Ebbene, la scorsa settimana la divisa Usa ha rivisto il record di posizioni rialziste nette per 16,24 miliardi di dollari, già toccato a fine agosto 2008 poco prima del fallimento Lehman. Di contro, anche l’euro ha fatto il nuovo record di posizioni nette ribassiste (89mila contro le 71,4mila della settimana precedente) per 11,1 miliardi. Gli hanno fatto compagnia yen, franco svizzero e sterlina. Il meccanismo di questi movimenti sta ancora nelle operazioni di carry trade. Ne è prova il rialzo di Wall Street dopo le 17.30, avvenuto in perfetta concomitanza con il balzo di oro e petrolio.