Una giornata moderna, moda e stili nell’Italia fascista, a cura di Mario Lupano e Alessandra Vaccari, Damiani 2009, 4 maggio 2010
A metà degli anni trenta Cesare Meano registra ufficialmente nel suo Commentario la promozione degli occhiali da protesi oculistica ad accessorio di moda, sostenendo che «gli occhiali non ci offendono più anche su un volto giovane e bello»
A metà degli anni trenta Cesare Meano registra ufficialmente nel suo Commentario la promozione degli occhiali da protesi oculistica ad accessorio di moda, sostenendo che «gli occhiali non ci offendono più anche su un volto giovane e bello». Come racconta Irene Brin, al principio di questa trasformazione si colloca Greta Garbo che, con le sue armature nere, «ordinava il ritorno al segreto, all’incognito» un tempo appannaggio della bautta. «Non meno dei riccioli, dei drappeggi, dei maglioni, gli occhiali neri si diffusero immediatamente, e subito apparvero anche sui banchetti, o all’Upim, per due lire. Piaceva alle signore non più giovani nascondere le zampe d’oca, piaceva agli uomini d’affari prendere un’aria importante ed affaticata, piaceva ai giovani mostrarsi sportivi, quasi che gli occhiari scuri simboleggiassero necessariamente la gita in montagna, la regata o le diciotto buche da golf. Si svilupparono lussi e ricercatezze, si ebbero occhiali graduati, sfumati in tinte nere, che mostravano un mondo ceruleo, acquamarino o dorato. Ci furono occhiali tipo paraocchi per cavallo con gli sportellini laterali, e anche montature quasi invisibili, in rosa, in bianco, in cristallo».