Alessandro Oppes, il Fatto Quotidiano 4/5/2010;, 4 maggio 2010
LA CORRIDA DEL DEBITO
Implacabile, uno dei tg dell’opposizione ripropone in rapida successione i sei o sette interventi dell’ultimo anno e mezzo in cui José Luís Rodríguez Zapatero – con tono solenne e voce impostata – assicura che il peggio è passato, che la ripresa è vicina, che l’inversione di tendenza è imminente, che ormai le cose possono solo andare meglio. Dichiarazioni, tutte, smentite drammaticamente dai fatti. Sullo schermo scorrono i grafici con le curve del Pil, il deficit in aumento, il debito pubblico fuori controllo, la disoccupazione inarrestabile. E sono, una dopo l’altra, una serie di mazzate alla credibilità del premier. Mercoledì, quando – con tutta evidenza – il governo era già al corrente del nuovo schiaffo che stava per arrivare da parte di Standard&Poor’s, con la riduzione del rating spagnolo da AA+ al livello AA, la vicepresidente Maria Teresa Fernández de la Vega non ha saputo fare di meglio che prendersela con ”alcune agenzie che tentano di erigersi a esecutori testamentari della purezza economica”, mettendo in discussione ”i pilastri su cui si regge il nostro sistema”. La verità è che, più passa il tempo, e più l’opinione pubblica (e purtroppo anche i mercati finanziari) si convincono che il sistema spagnolo è un gigante dai piedi d’argilla. Un paese cresciuto a dismisura su basi fragili e sbagliate come quelle di un esasperato ”boom” im - mobiliare e, nel momento in cui è stato colto in contropiede dalla crisi, completamente incapace di reinventare il proprio modello di sviluppo. La sfiducia dei cittadini ha raggiunto ormai livelli storici. L’ultima inchiesta del Cis, il centro di indagini sociologiche controllato dal governo, rivela che per l’82,9 per cento degli intervistati la disoccupazione è il problema principale della Spagna. Quando Zapatero andò al potere, nel 2004, la cifra superava di poco il 50 per cento. Al secondo posto nelle preoccupazioni dei cittadini c’è la crisi economica, seguita dalla sfiducia nella classe politica. I SONDAGGI. E proprio questo è uno dei maggiori motivi di preoccupazione: non solo il governo è considerato incapace di trovare risposte efficaci in una situazione così drammatica, ma persino l’opposizione è vista come co-protagonista – quasi allo stesso livello – della mancanza di una soluzione alla crisi. Da mesi, ormai, i sondaggi lo indicano in modo chiaro: per quanto Zapatero retroceda progressivamente nel consenso popolare, il presidente del Pp Mariano Rajoy continua a resta re un passo indietro, con la sua politica distruttiva del ”tanto peggio tanto meglio”. Non è bastato l’esempio di buon senso proveniente da Lisbona, dove i socialdemocratici (di centrodestra) hanno teso la mano al premier socialista José Socrates con l’obiettivo di un ”patto nazionale” che consenta al Portogallo di uscire dal tunnel. A Madrid no: ancora due giorni fa, nell’ultimo confronto parlamentare, il leader dei popolari ha evocato nuovamente termini apocalittici come ”d i s a s t ro ” o ”c a t a s t ro fe ”, tanto da far dire al ministro dell’Economia Elena Salgado che ”il Pp è il peggior nemico della ripresa”. LA DISOCCUPAZIONE. Solo oggi sarà possibile sapere se quel dato trimestrale sulla disoccupazione (4.612.000 senza lavoro, ormai tragicamente al di sopra della soglia del 20 per cento), diffuso per errore in anticipo sulla pagina Web dell’istituto di statistica, verrà ufficializzato. In realtà, a questo punto, alla gente importano poco dati e percentuali. E non è neppure di grande conforto il fatto che il governo assicuri che ”non arriveremo a quota cinque milioni”. Non più di due anni fa, Zapatero si azzardava a prevedere l’obiettivo della piena occupazione. Ora, più modestamente, si limita a sperare che, proprio a partire da aprile, si possa cominciare a creare nuovi posti di lavoro. Ma di sicuro non sarà gran cosa. Anche perché, se verranno confermate le previsioni che parlano di un ritorno a una crescita del Pil del 2 per cento solo nel 2016, il cammino sarà lungo e complicatissimo. Da mesi, governo, sindacati e imprenditori sono protagonisti di uno spettacolo poco edificante, nell’incapacità di arrivare a un accordo per la riforma del mercato del lavoro. Tutti lo considerano come una ”priorità assoluta”, ma il negoziato si è incagliato a più riprese, tra polemiche sull’eventualità di rinviare a 67 anni l’età pensionabile e discussioni sul numero di giorni di indennizzo per anno lavorato nel caso di licenziamento. Il risultato è che non si riesce a sciogliere il nodo principale: che è quello dell’eccessiva incidenza dei contratti a termine (molto superiore alla media europea) rispetto al totale dei contratti. LE IMPRESE. Nel frattempo, la società spagnola continua a mostrare evidenti segni di sofferenza. La Caritas ha rivelato nei giorni scorsi di aver dovuto far fronte, nel 2009, a quasi centomila richieste di assistenza da parte di persone in cerca di lavoro (il 42 per cento in più rispetto agli ultimi due anni). L’organizzazione è riuscita a trovare un’occupazione, in genere molto precaria, per 15 mila persone. E se in passato esistevano posti di difficile copertura, ormai nessuno dice ”no” a un’of - ferta, qualunque essa sia. Sono le conseguenze di una crisi drammatica, in un paese in cui 1 milione e 200 mila nuclei familiari hanno tutti i loro componenti disoccupati. Una ”nu ova pover tà” che colpisce anche strati sociali fino a poco tempo fa benestanti. Piccoli imprenditori che si sono visti chiudere all’improvviso i rubinetti del credito dalle banche in crisi di liquidità.