ALBERTO ARBASINO, la Repubblica 4/5/2010, 4 maggio 2010
RITROVARE SCHREKER TRA MUSICA, FOLLIE E PATRIZI GENOVESI
Ecco una buona opera di quasi un secolo fa, intitolata Die Gezeichneten. Ovvero «I Segnati» (ovviamente «dal Signore», come Rigoletto). Ma l´ottimo autore, Franz Schreker - come i suoi eccellenti colleghi Alexander Zemlinsky ed Ernst Krenek e E. W. Korngold, e altri ancora - subì una triplice "damnatio" dopo i trionfi paleonovecenteschi delle loro opere di successo: tutto un iper-verismo neo-rinascimentale decadentissimo e morbosissimo. Ispirato da Richard Strauss e da Puccini o forse D´Annunzio. Magari, istigato dagli slow-fox ai tè danzanti nei grandi alberghi, se non dalle apoteosi internazionali di Sem Benelli, con La cena delle beffe.
Qui, chi fu bimbo e scolaretto al tempo del celebre film di Alessandro Blasetti (1941) con Amedeo Nazzari e Clara Calamai e Osvaldo Valenti, ricorda sempre battute quali «Chi non beve con me, peste lo colga» o «Preparati la bara, Giannettaccio», fra sberle e cartellate. «Or giunge il Tornaquinci!». Ma intanto, i nazisti condannavano queste opere perché ebraiche e degenerate. (E Schreker ne morì). Dopo la guerra, Adorno e Stockhausen e Boulez e i loro seguaci a Darmstadt le censurarono perché melodiche e obsolete rispetto alla scuola viennese di Schönberg e Webern e Berg. Infine, recuperandole per fruitori che non ne sapevano niente, i registi le hanno ripresentate buttando via le indicazioni degli autori, e "aggiornando" testi così "storici" secondo i supposti gusti di chi compra il biglietto per Verdi nel Nulla o Wagner in blue-jeans.
Schreker, si sa, è stato piuttosto sconsiderato nel concepire un isolotto «Elysium» di vizi e dissipazioni davanti a Genova, con patrizi genovesi che sperperano patrimoni in lussi fantasmagorici. Qui peserà anche il successo del Ferne Klang dello stesso autore: un «suono lontano» che approda al Lido di Venezia. Dunque tutto un festival, un casinò, un Thomas Mann e un Visconti che lì tornano benissimo. Ma i patrizi genovesi, come spiegava un´illustre dama locale, per prima cosa immagazzinavano gioielli che venivano tenuti segreti. Poi, acquistavano opere d´arte per una magnificenza di rappresentanza con aumenti di valore per le schiatte nei secoli. E così furono conservati quei patrimoni.
Dunque, una ventina d´anni fa, a Zurigo, parve almeno bizzarra la decisione di Jonathan Miller: tutto negli anni Quaranta, come nei suoi applauditi Rigoletto e Tosca. E dunque (malgrado l´ottimo direttore Eliahu Inbal, e gli eccellenti interpreti Alfred Muff e Gabriele Lechner) una inverosimile Genova dove i federali fascisti e gli armatori in orbace rapiscono le signorine in Via Luccoli e le stuprano fra sperperi frivolissimi davanti a Sottoripa.
Schreker fu incauto anche come librettista. Qui il Doge si chiama Adorno, e quando va in visita, una signorina dice alla cameriera: «Uffa, che aspetti». Il protagonista bellone si chiama «Tamare», e qui il Dizionario De Mauro offre sinonimi: cafone, becero, bifolco, villano, zotico. Nell´attuale produzione palermitana al Massimo (con regìa di Graham Vick) si veste e pettina come il filosofo Bernard-Henri Lévy, e frequenta il Doge, che abita in un Ferrari Store con la macchina rossa in vendita.
Bei nomi aristocratici: Fieschi, Cibo, Negroni, Scotti. E cantano squisitezze: «Per le finestre aperte entrano danzando i soffocanti incantesimi, profumi di fiori stordenti e grevi». Ma i cantanti indossano giubbotti casual da spacciatori nei vicoli, e sfoggiano una gestualità attuale sbruffona: «Ma checcazzo, ma checcentro, machevvoi, caggiaffà». Ove occorre qualche interpretazione col corpo, come in Salome o Elektra, uomini e donne si siedono sul territorio. Anche davanti ai sindaci liguri con fascia tricolore.
Quando una comitiva di turisti va a curiosare nell´isola del vizio - tipo i parenti poveri ai matrimoni e battesimi - ha la sorpresa di trovarvi un´accademia di pittura. Corsi e sezioni sull´action painting e la body art. E diligenti diplomandi che rifanno Cy Twombly e Yves Klein. Ma già una tipica mela di Magritte pendeva parcheggiata sui tavolacci per le paraculate dei "pushers" uso West Side Story. E allora, i più compunti: peccato per l´occasione persa da Genova, come ci saremmo divertiti vedendo al Carlo Felice questi teppisti coi loro palazzi Doria, Balbi, Spinola, Durazzo.
Se poi nella Genova di Schreker il Podestà è un Nardi, il Principe di Firenze è un Bardi, nella Florentinische Tragödie di Alexander Zemlinsky. «Tutta Firenze è una veranda in fiore», tra i liuti e i velluti e i menestrelli alla Sem Benelli, comunque. Tanti anni fa, a una Biennale veneziana, si restò perplessi davanti a una messinscena «moderna» del regista Werner Schroeter. Stavolta, in concerto, a Santa Cecilia, sempre più dubbiosi circa la musica stessa, e le sue eventuali nascoste bellezze, malgrado il magnifico baritono Sergei Leiferkus. E l´impressione che queste esecuzioni "live" siano più sommarie che nei dischi di culto che abbiamo «nelle orecchie» e in casa. Anche se all´Auditorium si può vivere un problema: qualche esecuzione particolarmente crepuscolare di Beethoven si dovrebbe forse a una condizione depressiva?