ANTONIO CIANCIULLO, la Repubblica 4/5/2010, 4 maggio 2010
L´ITALIA SOSPENDE LE TRIVELLAZIONI CONTROLLI AI SISTEMI DI SICUREZZA - ROMA
Nuove trivellazioni in mare sospese. Mercoledì vertice governativo con gli operatori off shore, cioè Eni ed Edison. Giovedì e venerdì ispezione nei tre impianti di produzione di petrolio attivi nei mari italiani per verificare l´efficienza dei sistemi di sicurezza e dei piani di emergenza. Così il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha risposto all´allarme prodotto dal disastro ambientale in Louisiana.
Scajola ha cercato di tranquillizzare gli animi ricordando che le perforazioni off shore in Italia avvengono a 200 metri di profondità, non a 1.500 come nel caso della piattaforma della Bp. Che incidenti simili non si sono mai verificati in 50 anni di attività nei nostri mari. E che le 115 piattaforme italiane (99 dell´Eni e 16 dell´Edison, realizzate tra il 1968 e il 2004) producono quasi tutte gas. Ma la decisione di convocare Eni ed Edison per verificare l´efficienza degli impianti rivela un´inquietudine legata a proteste che avevano preceduto il dramma di questi giorni e che ora riprendono vigore.
Il 46 per cento della produzione Eni è concentrato nell´Adriatico, mentre una quota crescente viene dalla Val d´Agri, in Basilicata (dove le trivellazioni hanno creato problemi per la destinazione dell´area a parco nazionale). Anche il complesso della produzione insiste sull´Adriatico: solo quattro delle 115 piattaforme sono collocate tra il Mar Tirreno e il Canale di Sicilia e una nello Ionio. E proprio sulle coste adriatiche negli ultimi anni si sono intensificate proteste e ricorsi alla magistratura.
Nel febbraio scorso il Tar di Lecce ha ordinato la sospensiva del decreto ministeriale sui lavori preliminari per la ricerca di idrocarburi nel mare pugliese. La Regione Puglia, assieme ai Comuni di Fasano e di Ostuni, aveva presentato ricorso contro un provvedimento del ministero dell´Ambiente che aveva giudicato positivamente i lavori per l´estrazione di idrocarburi ordinati dalla società britannica Northern Petroleum. Il Tar è stato di avviso contrario.
« solo un caso tra tanti», commentano due parlamentari del Pd che hanno curato uno studio sull´impatto delle trivellazioni in Italia, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante. «Il governo Berlusconi ha autorizzato 16 attività di ricerca di petrolio in mare. E altre 13 richieste sono in corso. Siamo di fronte a un impatto pesante a fronte di un vantaggio limitato, visto che il petrolio del basso Adriatico è di cattiva qualità: è bituminoso, ha un alto grado di idrocarburi pesanti, è ricco di zolfo».
A far la parte del leone - nota lo studio - sono le aziende petrolifere straniere: Norther Petroleum, Petroceltic e la Puma Petroleum. Queste società sono attive soprattutto in Adriatico ma anche in Sardegna, al largo delle spiagge del Sinis, in un angolo di paradiso che dall´isola di Mal di Ventre corre fino alle coste di Bosa. Sempre in Sardegna la Saras ha un permesso di prospezione nel golfo di Oristano e nelle acque a sud dell´isola.
«Il prodotto di scarto più pericoloso è l´idrogeno solforato, dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole dosi», si legge ancora nella ricerca. «L´Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di non superare 0.005 parti per milione (ppm), mentre in Italia il limite massimo previsto dalla legge è pari a 30 ppm: ben 6 mila volte di più. Nel mare italiano addirittura non ci sono limiti».
Le attività di perforazione e produzione di petrolio off shore contribuiscono per il 2 per cento all´inquinamento marino. Questa percentuale va sommata al 12 per cento prodotto dagli incidenti nel trasporto marittimo e al 33 per cento derivante dalle operazioni di carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio e scarico di acque di sentina o da perdite sistematiche. A completare il quadro dell´impatto ambientale ci sono infine i fluidi usati per portare in superficie i detriti: sono fanghi tossici difficili da smaltire perché contengono tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame.
Un ulteriore motivo di polemica è il rischio economico legato a un possibile incidente. Il responsabile Pd per la green economy, Ermete Realacci, ricorda che l´ultimo disastro petrolifero che ha colpito l´Italia, l´affondamento in Liguria della Haven, ha portato a un risarcimento di 70 milioni di euro: «Una cifra irrisoria perché la normativa italiana è del tutto inadeguata. I danni davanti alle coste della Louisiana sono dell´ordine dei 100 miliardi di euro. Se una catastrofe del genere colpisse il nostro Paese nessuno pagherebbe».