ULRICH BECK, la Repubblica 4/5/2010, 4 maggio 2010
CHE COSA C´INSEGNA LA CENERE D´ISLANDA
La commedia della cenere aerea è stata, come la psicosi della febbre suina, un ulteriore esempio di quanto sia facile cadere nell´isteria collettiva o è stata qualcosa di più? Già negli anni Sessanta del Novecento Hannah Arendt aveva snervato con la domanda: cosa accadrebbe se alla società del lavoro venisse a mancare il lavoro (a causa della crescente automazione)? La nuvola di cenere del vulcano Eyjafjalla ha regalato al mondo un grandioso "esperimento di crisi", mettendoci impietosamente di fronte alla domanda: cosa accadrebbe se nella società del volo cessassero tutti i voli? Il vulcano mima un sindacato della natura: se la mia densa cenere lo vuole, il traffico aereo mondiale si blocca! (Lasciamo da parte la complicità del vento).
Il mutamento climatico ha posto all´ordine del giorno questa questione: c´è una vita (mobile) dopo l´auto? Di colpo, l´esperienza dà luogo alla domanda: cosa c´è dopo l´aereo? Si è forse trattato di un primissimo memento del futuro dell´era post-jet? Si tratti del lavoro, dell´auto o dell´aereo, ogni volta ciò che un tempo sembrava contrario alla natura dell´uomo è diventato per noi una "seconda natura", fino al punto che non riusciamo nemmeno a immaginare una società del lavoro senza lavoro retribuito per tutti, una società dell´auto senza automobili per tutti, una società del volo senza aerei per tutti. Ma proprio questa immaginazione dell´inimmaginabile è diventata necessaria.
L´inestimabile utilità dell´esperimento di crisi della nuvola di cenere è stata quella di avere dimostrato con la massima chiarezza che il nostro modo di vivere e di pensare e il modo in cui è organizzata la società moderna ci condannano a volare! Senza aereo sembriamo personaggi di Samuel Beckett, frammenti di corpi, esistenze smarrite il cui mondo e la cui vita si sono sfasciati. Tutti vogliono o devono andare e tornare al più presto, per inscenare affari e impegni, per sbadigliare alle conferenze o sopportare feste di famiglia, per trascorrere uno scampolo di vacanza di pochi giorni o per vivere un amore a distanza, ecc.
Mentre scrivo queste righe sono seduto su un trenino sostitutivo dell´aereo, da Trondheim a stersund, ciò che non diminuisce affatto la bellezza del fiordo che scintilla alla luce del tramonto. Perché questo è degno di nota? Perché in ciò si manifesta significativamente un pezzo della politica interna mondiale. Cos´è accaduto? Nulla. E il punto è che non è accaduto nulla. Non è stata una catastrofe (come la caduta dell´aereo governativo polacco, che ha causato la morte del presidente Lech Kaczynski e della sua delegazione di alto livello) a portare al divieto totale di volo in Europa, ma solo l´anticipazione di una simile catastrofe. E questa presentificazione della catastrofe allo scopo di impedirla si è basata su modelli tratti da simulazioni al computer, né più né meno. Che non sia accaduto nulla, che nessun aereo sia caduto, è considerato dagli uni come la dimostrazione della giustezza delle misure prese e dagli altri come la dimostrazione dell´isteria e della erroneità delle misure prese. Ma ci si deve pur domandare: deve proprio accadere la catastrofe che occorre impedire, perché le misure adottate per impedirla vengano riconosciute come adeguate? Allora le misure adottate sarebbero sempre sbagliate - o perché accade una catastrofe, o perché non ne accade nessuna.
Ma ad essere diventato di colpo onnipresente è solo il rischio difficilmente calcolabile che qualcosa di brutto possa accadere; esso crea, al di là di tutte le frontiere, una nuova comunanza di situazioni intermedie tra lo stallo e l´odissea. Il nostro "noi" è composito, abbraccia le più diverse classi di reddito, tutti i possibili colori della pelle, passaporti, titolari e non titolari di carte di credito, cristiani e mussulmani, agnostici ed esoterici, ecc. Tutti noi condividiamo una qualche condizione contingente che determina in modo fondamentale la nostra situazione qui ed ora. Formiamo una comunità di destino diasporica, frammentata in mille e mille destini individuali, dispersa in tutto il pianeta: la comunità degli "effetti collaterali viventi", del pericolo inscenato - non della nube del vulcano, che dimostra la rivolta della natura contro la civiltà. Le nubi dei vulcani ci sono sempre state e, di per sé, non rappresentano alcun pericolo. Diventano un pericolo solo nell´orizzonte dell´industria aerea, globalizzata e sempre più in espansione. Il "destino degli effetti collaterali", contro il quale per un momento storico è andata a sbattere la nostra mobile forma di vita, si riflette nell´esposizione del sistema globalizzato del traffico aereo alla "natura interiorizzata". La nube di cenere del vulcano è come la mucca sull´autostrada, cioè un "nemico" solo per la "società del volo".
Come un pezzo da cabaret, in tutto il mondo viene rappresentata in continuazione una scena sempre uguale, con ruoli che cambiano. Gli attori a cui è affidata una funzione regolativa, come i politici e gli esperti, oscillano tra l´ignoranza e l´isteria: nascondono i rischi sotto il tappeto oppure li raffigurano in termini drammatici - e spesso fanno entrambe le cose in momenti diversi e dinnanzi a diversi ascoltatori.
Vi ricordate gli avanti e indietro della febbre suina? Alla fine, milioni di vaccini sono finiti nella discarica. Oppure la nube atomica di Chernobyl, prodottasi dopo la catastrofe "comunista" del reattore ucraino, che nell´aprile di ventiquattro anni fa, in una primavera straordinariamente fiorita, sparse il terrore in tutta l´Europa? L´energia atomica - si diceva allora e lo si ripete oggi - è assolutamente sicura. Oppure l´"11 settembre"? Poco prima dell´attentato terroristico, quelli che segnalavano la possibilità di un simile attacco erano irrisi e considerati pazzi. In seguito, però, venne fomentata un´isteria del terrore per giustificare l´invasione di Paesi stranieri.
Ed ora il dramma mondiale, tuttora in corso, della crisi finanziaria! Prima la consegna era: bocche chiuse, stop alle voci critiche che additano l´irresponsabilità organizzata degli affari a rischio. Poi, però, è stato dipinto l´orrore e le grandi banche, fallite economicamente e moralmente, sono state risanate con sussidi statali miliardari. Frattanto, la colpevole è soltanto la Grecia, anche se tutti sanno che la Spagna, l´Italia e forse soprattutto la Gran Bretagna, ma perlomeno anche i comuni della ricca Germania sono inseguiti dallo spettro del rischio di una bancarotta. L´euro è in fiamme!
E ovunque il medesimo mantra: «La nube del vulcano è giunta dal cielo più sereno - nessuno poteva prevederla». E: «Per noi al primo posto sta la sicurezza». Quale sicurezza? Infatti, il rischio che gli aerei precipitino produce fulmineamente il rischio del fallimento, ecc. Ne deriva la lotta tra le catastrofi incombenti, che pone i decisori in un dilemma: devo mantenere il divieto di volo, con la conseguenza che l´industria del volo («rilevante per il sistema») fallisca e gli Stati sull´orlo della bancarotta siano costretti anche qui a intervenire? Oppure devo dare il via libera al traffico aereo? E se poi un aereo precipita e, con esso, anche i miei consensi elettorali? Non riusciamo a fare a meno delle certezze. Non siamo disposti ad accettare che con la grandezza della catastrofe minacciosa diventi sempre più insignificante la razionalità della probabilità di un suo effettivo verificarsi. Proprio questo ci dice il piccolo, sporco segreto secondo cui tutti, compresi gli esperti, brancolano nella nebbia di un inconfessato non-poter-sapere. In questo modo diventa sempre più difficile distinguere in modo chiaro e netto tra isteria e politica intenzionale della paura - da un lato - e opportuna preoccupazione e cautela - dall´altro.
Qui diventa chiaro anche che la politica interna mondiale è la possibilità che rimane quando i nostri problemi quotidiani diventano globali, ma le "risposte" istituzionalizzate restano nazionali. Lo spazio aereo è uno spazio di sovranità e se le nazioni rinunciassero al controllo su di esso - questo è il punto saliente - non perderebbero, ma anzi conquisterebbero la sovranità in un´epoca nella quale si può affermare con certezza che il business globale del traffico aereo (e nemmeno quello dei traffici finanziari) non può più essere regolato a livello nazionale. Con il volo della cenere si è dunque ripetuto il dramma didattico continuamente riproposto dalla crisi finanziaria, dagli attacchi terroristici dell´11 settembre, della "mucca pazza", ecc.: molte cose potrebbero essere più semplici se le persone, le organizzazioni di interessi e i politici lasciassero cadere la rappresentazione antiquata della sovranità nazionale e capissero che la sovranità può essere riacquisita soltanto nella prospettiva di una politica interna mondiale, sulla base della cooperazione, dell´intesa e del negoziato.
Sullo spazio, gli aerei sono ignoranti. Non conoscono le attrattive dei luoghi. Conoscono soltanto i non-luoghi: il sempre uguale "ovunque" degli aeroporti. Chi vorrebbe negare l´emancipazione del volo? Ma il volo non è anche una forma senz´anima di movimento il più rapido possibile, che disconosce e immiserisce il senso della decelerazione e lo stupore del viaggiare sul suolo? Ciò che prima subisco e poi vivo è il passaggio brusco dall´indigestione di chilometri in volo alla dieta del viaggio. Attenzione, non intendo fare dello pseudoromanticismo che celebra i viaggi in carrozza! In sé, l´esperimento mentale di un mondo senza aerei, nel quale sarebbero gli asini a farci attraversare le Alpi, non è - per quanto ecologicamente corretto - incondizionatamente liberatorio.
Eppure, da ora sappiamo anche che sotto l´asfalto degli aeroporti ci attende e ci attira la spiaggia.
Traduzione di Carlo Sandrelli