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 2010  aprile 28 Mercoledì calendario

FONDAZIONI BANCARIE LE ORIGINI E LE FUNZIONI

Non ho mai capito bene la natura e le funzioni delle fondazioni bancarie e la loro influenza (benefica? malefica?) sulla vita delle banche. forse una particolarità tutta italiana. Sarebbe interessante leggere un suo scritto.
Pieremilio Celada celmil@alice.it
Caro Celada, vi sono al Corriere persone che possono parlare delle Fondazioni bancarie con maggiore competenza. Mi limiterò quindi a qualche considerazione di carattere generale.
All’inizio degli anni Novanta il debito pubblico, la speculazione internazionale, il crollo della lira e l’onda crescente del liberalismo economico costrinsero i governi i riesaminare il nostro sistema economico-finanziario. Eravamo la democrazia europea con il più alto tasso di partecipazione pubblica nella gestione delle imprese e avevamo banche, in particolare, che erano esposte all’intervento del governo e dei partiti nella composizione del loro gruppo dirigente. Fu quello il momento in cui fu deciso che le banche sarebbero diventate società per azioni.
Ma l’Italia, nonostante i suoi sussulti rivoluzionari e l’estremismo verbale della sua classe politica, è pur sempre un Paese sostanzialmente moderato che non ama i cambiamenti repentini e preferisce gli adattamenti alle riforme radicali. Per non tagliare bruscamente il rapporto delle banche con la politica, fu affiancata a ciascuna di esse una fondazione che ne avrebbe assunto la proprietà, ma avrebbe collocato le sue azioni sul mercato per diventarne, in ultima analisi, azionista. Come ha spiegato Giuliano Amato in una intervista a Franco Locatelli apparsa sul Sole 24 Ore del 16 aprile, le fondazioni non avrebbero interferito nella gestione del credito e si sarebbero comportate come investitori istituzionali. Dalla quota di capitale in loro possesso avrebbero tratto «come enti no profit (...) le risorse necessarie alla promozione delle loro attività socio-culturali». Sopravviveva così, sotto altre vesti, l’idea, già presente nella filosofia della Costituzione repubblicana, che il capitale dovesse avere una funzione sociale e contribuire alla «crescita» del Paese su scala nazionale e su scala locale. Ma sopravviveva in un contesto in cui la politica delle singole banche sarebbe stata decisa da un consiglio d’amministrazione in cui era lecito sperare che le regole del mercato avrebbero avuto un peso determinante. Un buon compromesso o un compromesso «all’italiana»? Fu chiaro sin dall’inizio, naturalmente, che i partiti si sarebbero interessati alle fondazioni e avrebbero cercato di orientare le loro iniziative verso obiettivi utili alle loro amministrazioni locali. Giuliano Amato è complessivamente soddisfatto del modo in cui le cose sono andate sinora e spera che anche la Lega (quando, come auspicato da Bossi, «avrà le sue banche») si comporterà secondo lo spirito della riforma del 1990. Ma Amato è il padre delle fondazioni e ha, come tutti i padri, un debole per i suoi figli. Speriamo che non crescano male.
Sergio Romano