Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 28/04/2010, 28 aprile 2010
MAGIA DI ARAZZI
Ci sono opere in cui la percezione della Bellezza è talmente potente da lasciare sgomenti. Chi è in cerca di sensazioni «forti» non può mancare la mostra «Giuseppe negli arazzi di Pontormo e Bronzino», che apre domani nella Galleria di Alessandro VII Chigi al Palazzo del Quirinale, dove resterà fino al 30 giugno. Il percorso, curato da Louis Godart con la collaborazione di Loretta Dolcini, offre un crescendo di stupore: nelle sale si alternano infatti dieci monumentali arazzi commissionati tra il 1545 e il 1553 da Cosimo I de’ Medici agli artisti più importanti dell’epoca e una trentina di opere che permettono di contestualizzarli, provenienti dai musei di tutto il mondo. Tra queste opere spiccano i due ritratti di Cosimo de’ Medici e della sua sposa Eleonora da Toledo, sempre del Bronzino, e un raffinatissimo cammeo in agata sardonica proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo, che raffigura Giuseppe e i suoi fratelli con una sapienza psicologica e una leggerezza ammirevoli data la durezza dell’intaglio.
Ma il culmine si raggiunge alla fine del percorso, dove è stata ricostruita virtualmente la Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio a Firenze, per la quale gli arazzi furono realizzati. Qui sono stati riprodotti anche gli altri dieci della serie, che sono rimasti nel capoluogo toscano, mentre i dieci esposti furono trasferiti dai Savoia al Quirinale nel 1882. Nella ricostruzione si vede la Sala dei Duecento, come doveva apparire agli ospiti di Cosimo tra il 1553 e il 1560, prima che fosse trasformata dal Vasari: con la serie dei venti panni che rivestivano integralmente le quattro pareti, sovrapponendosi alle finestre, sovrastando le porte, inghiottendo i presenti in una vertigine di corpi in movimento. L’effetto, all’epoca, doveva essere ancora più coinvolgente, perché la luce delle torce esaltava i bagliori emanati dai fili d’oro e d’argento, tessuti insieme a quelli di lana e seta, e faceva vibrare le cromie accese delle figure e delle bordure vegetaliche ne accentua vano la monumentalità. Ma l’interesse della mostra è dato non solo dalle opere straordinarie che raccoglie. La rassegna racconta talmente tante storie che non si sa da dove cominciare. Una è quella del laboratorio del Quirinale, presentato al pubblico per la prima volta e creato nel 1995 per il restauro dei panni di Bronzino e Pontormo, ma che resterà attivo anche per la manutenzione dei 260 arazzi, databili tra il Cinquecento e l’Ottocento, il più prestigioso tra le dotazioni della Presidenza della Repubblica. Qui hanno lavorato per quindici anni una decina di restauratori sotto la guida di Loretta Dolcini, proveniente dall’Opificio delle Pietre Dure, che già si era occupata nel decennio precedente del restauro dei panni rimasti a Firenze. Poi c’è la storia degli arazzi, intrecciata a quella di Cosimo I de’ Medici ed Eleonora da Toledo e a quella del biblico Giuseppe.
«La dinastia medicea amava Giuseppe», racconta Godart. «L’immagine di un eroe mite e probo, capace di sfuggire agli invidiosi, di conquistare una posizione importante partendo dal nulla e contando solo sulle sue qualità intellettuali, era una vera e propria metafora delle alterne fortune della grande famiglia fiorentina. Attraverso la realizzazione di una serie di venti arazzi la corte dei Medici volle quindi che fosse raccontata la storia dell’eroe biblico, le cui vicissitudini tanto somigliano alla loro saga dinastica». Quando Cosimo fu nominato Duca di Firenze, nel 1537, aveva solo 17 anni, la stessa età di Giuseppe quando compare per la prima volta nella Bibbia. Tre anni più tardi sposa la bella e raffinata Eleonora, figlia di Pedro di Toledo governatore di Napoli, e si trasferisce con lei a Palazzo Vecchio, iniziando un programma di modernizzazione e decorazione che proseguirà fino alla sua morte, nel 1574. La prima importante impresa fu la committenza dei disegni preparatori per i venti arazzi. Prima furono affidati a Pontormo, che ne eseguì tre, ma non convinsero. Allora fu scelto Agnolo Bronzino, che ne realizzò sedici, un altro fu affidato a Francesco Salviati. Ad eseguire il lavoro dei panni furono chiamati due arazzieri fiamminghi, Jan Rost e Nicolas Karcher. La firma di Rost, ricamata in basso, si può ancora vedere: un pollo arrostito allo spiedo.
Lauretta Colonnelli