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 2010  aprile 23 Venerdì calendario

2 ARTICOLI - PREPARARE IL CAFF CON LA MOKA O CUCINARE LE LASAGNE. COS A MINDANAO SI PREPARANO LE GIOVANI FILIPPINE CHE VOGLIONO LAVORARE IN ITALIA - ZAMBOANGA

(mindanao) Come cuocere gli spaghetti al dente. Cucinare una lasagna al forno, fare il caffè con la moka. Si imparano anche i dettagli alla scuola per le colf filippine che vogliono venire in Italia: come riordinare una casa a Bari o a Roma, per esempio, o quali sono le abitudini delle famiglie del Belpaese, persino le mille parole del vocabolario che non si possono ignorare per essere una buona domestica.
Anche a Zamboanga, città dell´incantevole arcipelago di Mindanao, si coltiva il sogno di tante filippine. Anche da questa scuola situata nella Casa di Carità costruita coi propri soldi da due missionari laici italiani, Mario ed Elisabeth Lizio, partono le donne che vanno a ingrossare l´esercito delle colf, molto richieste per professionalità e affidabilità, che lavorano nel nostro Paese.
Il marito di Jaqui Mecansantos è già in Italia, fa il domestico a Palazzolo. «Aspettami caro, arrivo anche io», scherza mentre si fa fotografare assieme alle altre sue venti compagne del corso per colf e badanti di Zamboanga. La città della trentenne Jaqui e delle altre candidate al sogno italiano è un porto-franco dove non si pagano dazi e i grandi magazzini fanno affari con le merci scontate destinate soprattutto all´estero. L´80 per cento del milione di abitanti è cattolico, vive al di sotto della soglia di povertà, e "presidia" l´ultimo avamposto della fede oltre il quale - tra Basilan, Jolo, Tawi Tawi - imperversano guerriglieri islamici e predoni.
Jaqui è la più loquace tra le ragazze raccolte al secondo piano del Centro di Puericultura del dottor Rodes Agbulos, l´istituto che bisogna frequentare prima di iscriversi alla scuola di colf. Qui, c´è una stanza con dei letti da rifare, a turno le aspiranti donne di servizio rimboccano le lenzuola e le coperte sotto le quali sono adagiati manichini a dimensione naturale.
Le ragazze li sollevano dal materasso usando tutte le accortezze insegnate dagli istruttori per trattare le diverse forme di disabilità. Tra loro c´è un solo uomo tirocinante. Il motivo – dicono - è che le femmine qui sono dall´infanzia abituate ad accudire gli altri. E anche perché molti maschi sono comunque già partiti, per i Paesi del Medio Oriente, a Hong Kong e Singapore, in Malesia, o nell´altro emisfero, gli Stati Uniti e l´Europa. Sono tra gli otto e i dieci milioni gli emigrati filippini all´estero, 100mila solo in Italia, e le loro rimesse valgono il 13 e mezzo per cento del prodotto interno lordo.
Jaqui è già stata a lavorare in Kuwait e in Arabia Saudita, ma sogna il nostro Paese e suo marito a Palazzolo praticamente ogni giorno, specialmente da quando i dirigenti del Centro di Puericultura di Zamboanga, dove insegnano anche Mario ed Elisabeth Lizio, le hanno promesso di completare la sua preparazione con un corso «take away» di italianità.
Il pacchetto di due mesi inizierà, se tutto andrà secondo i programmi, subito dopo il tirocinio infermieristico che finisce il prossimo giugno. Prevede un migliaio di vocaboli essenziali, una cinquantina di frasi comuni, abitudini delle famiglie italiane, a partire dai dettagli sulle diverse misure igieniche, perfino il tipo di detersivo, documentari e diapositive. Si insegnano le ricette della cucina italiana, come insaporire senza troppe spezie esotiche le zuppe, le salse.
A istruire Jaqui e le altre saranno Mario ed Elizabeth, appunto, principali artefici dell´iniziativa. Ma oltre ai loro consigli, l´ingresso dei candidati locali verso il nuovo mondo è facilitato da diversi altri fattori sentimentali oltre che economici. Prima di tutto Roma è la città del Papa e centro della fede cattolica trapiantata qui oltre cinque secoli fa.
Al di là del buon umore contagioso delle candidate colf per l´Italia, non ci vuole molto a capire che tutte cercano di fuggire da una realtà difficile. Ma i problemi non nascono solo dalla povertà. Proprio dirimpetto alle coste di Zamboanga coi suoi 19 porti, si estende il Far West di Basilan e Jolo, dove operano i separatisti islamici «moderati» del Fronte Moro, gli spietati guerriglieri filo Al Qaeda di Abu Sayyaf oltre a bande di ex pirati, contrabbandieri e rapitori su commissione.
Anche Elizabeth e Mario, pur non essendo ricchi, sanno che il pericolo è sempre in agguato. Prendono infatti diverse precauzioni, prima tra tutte quella di «vivere in amicizia con i nostri vicini che abitano nelle baracche in condizioni miserabili», come spiega "fratel" Mario.
I Lizio hanno sette figli, e alloggiano sulle colline di San Roque, ai piani superiori della Casa di Carità che ospita i corsi integrativi di colf e badanti che sperano in un ingaggio in Italia. Nel grande salone dove insegneranno usi e abitudini del Belpaese, hanno affisso mappe geografiche dello stivale e delle isole, copie di dipinti celebri del nostro Rinascimento, vedute idilliache delle città storiche. Sul tavolo fanno bella mostra pile di libri divulgativi della storia e del costume, ricette, dizionari di italiano, chavacano e tagalog (la lingua nazionale filippina). In un´altra stanza sono le cucine con i fornelli e le attrezzature.
Elizabeth è stata anche premiata dalla presidente delle Filippine per l´impegno della sua Ong (http://www.lafilippiniana.it) in una parrocchia di Cerro sul lago Maggiore, dove già addestrava all´"italian way" centinaia di domestici e badanti suoi connazionali, Poi nel 2008 i coniugi hanno deciso di venire qui e lavorare alla fonte del flusso di immigrazione, tradizionalmente concentrato più a nord, nelle province di Luzon e nel resto dell´Arcipelago di 7000 isole dove vivono quasi 100 milioni di abitanti.
Ma come sempre le scelte difficili incontrano anche ostacoli sul cammino. I corsi di Mario e «Lisa» a Zamboanga non hanno infatti ancora le autorizzazioni per essere avviati ufficialmente, e allora hanno deciso di iniziarli gratis, in attesa dei tempi della burocrazia locale e – "perché no?" - di una grazia della Madonna del Pilar, alla quale si rivolgono da secoli con immutata fiducia gran parte dei cattolici locali.
Jaqui, Donavel e molte delle altre tirocinanti hanno già detto che pagherebbero volentieri i 15mila pesos, poco meno di 250 euro, richiesti per le spese di manutenzione del centro. Il problema è che nessuno può garantire un ritorno del relativamente gravoso investimento. Il sogno si può realizzare solo se ci sarà una chiamata diretta dall´Italia di qualche famiglia o struttura ospedaliera, sia tramite il centro di formazione di Mario e Lisa a San Roque, che attraverso i consolati o le ambasciate, vincolate a rigide normative di selezione.
A dare meglio l´idea del tipo di immigrazione che parte da Zamboanga, c´è da dire che sia Jaqui, che Donavel e le altre, appartengono a una classe media educata, sebbene a basso reddito. Ma nemmeno loro sono sfuggite in passato ai venditori di viaggi dell´illusione. «Ci sono agenzie di cosiddetto collocamento – spiega Jaqui - che mettono volantini alla ricerca di manodopera o si pubblicizzano su Internet. Spesso incassano gli anticipi dopo un colloquio al ristorante o a casa di noi candidati, e - se non sono già spariti subito – ti abbandonano senza troppi complimenti su qualche molo straniero dopo aver preso il resto dei soldi».
Di certo i filippini sanno che nemmeno l´Italia è la terra dove si materializzano le fiabe. Tra le bancarelle dei mercati e nei negozi di Dvd va a ruba il film Milan, a metà tra il polpettone sentimentale e il documento-verità sulla triste sorte dei clandestini diretti verso i nostri confini, spesso vittime di trafficanti e connazionali senza scrupoli. Mostra che il viaggio della speranza può trasformarsi in un incubo, senza l´aiuto di un´istituzione e lo spirito caritatevole di qualche buon samaritano. Da parte loro le studentesse della scuola di colf e di quella di puericultura ce la mettono tutta. Anche a costo di bruciare molte padelle per imparare a cucinare spaghetti aglio e olio.
RAIMONDO BULTRINI, la Repubblica 23/4/2010;

LA CARICA DEI 100MILA UNA RISORSA PER IL PAESE - Le prime ad arrivare sono state le donne. Mary è una di loro. Lavora sodo. I soldi li manda tutti a casa. «Servono a comprare una grande risaia», spiega. Mary è nata a Batangas, nelle Filippine. in Italia da oltre 20 anni. A Roma fa la colf, la badante e talvolta l´infermiera. E´ arrivata da sola. Il primo appoggio? La fitta rete della sua comunità. Lì ha trovato ospitalità e contatti. Mary è un´immigrata tipo: si è subito specializzata nei ruoli più richiesti dalle famiglie italiane. Negli ultimi dieci anni le Filippine hanno ricevuto 1.895 milioni di euro in rimesse dall´Italia. In media, ogni immigrata spedisce 300 euro al mese a casa. Le donne sono state solo le truppe esploratrici, l´avanguardia dell´esercito. Poi sono arrivati i ricongiungimenti familiari e con questi gli uomini: figli e mariti. Oggi i "filippini d´Italia" sono 113mila, per oltre metà donne.
«I primi consistenti flussi migratori sono partiti dal nostro Paese negli anni ´70, destinazione Europa, Emirati Arabi e Stati Uniti – spiega Dona Rose Dela Cruz, presidente del Filipino Women´s Council – e l´Italia è stata senz´altro una meta privilegiata. Gli immigrati provengono in maggioranza dalle province di Manila, Mindoro, Ilocos e Batangas. E anche in Italia si ritrovano ad aggregarsi in base alle provincie di provenienza. Dove vivono? Nelle grandi città: Roma e Milano in testa».
Ma chi sono questi "filippini d´Italia"? Sono circa 113 mila, lavorano per lo più nelle case degli italiani. Guadagnano in media 1.850 euro al mese (per nucleo familiare), vivono generalmente in affitto (29%) o in case di proprietà (24,5%), e trovano lavoro soprattutto come domestici (le famiglie rappresentano il datore di lavoro non solo per quasi sei filippine su dieci, ma anche per poco meno di un quarto degli uomini). Da una indagine realizzata a fine 2009 dallo Scalabrini Migration Center di Manila e dalla Fondazione ISMU di Milano emerge che, nonostante il reddito modesto e la bassissima mobilità sociale, 8 filippini su 10 dichiarano di essere soddisfatti o molto soddisfatti dell´esperienza lavorativa in Italia. Il 90% mantiene legami attivi con il Paese d´origine e il 51,5% ha ancora almeno un figlio minorenne che vive in madrepatria. La comunità filippina si distingue per una vita associativa molto intensa: il 65% frequenta le associazioni di assistenza tra connazionali. E ancora: il 40,6% dichiara di voler tornare nelle Filippine e di questi il 40,8% ha in mente di avviare lì un´impresa. Sono grandi risparmiatori: basti pensare che le rimesse degli 8 milioni di immigrati filippini nel mondo, nel 2009 hanno raggiunto i 17,3 miliardi di dollari, pari ad oltre il 10% del prodotto interno lordo del Paese.
«L´immigrazione filippina – racconta Raffaella Maioni, responsabile nazionale delle Acli Colf – è storicamente radicata nel lavoro domestico. I filippini vengono generalmente considerati miti e affidabili e non è secondario il loro essere in maggioranza cattolici. Ma il punto è un altro: nel loro Paese vengono organizzati corsi di formazione molto severi, per preparare gli aspiranti immigrati a lavorare nelle case degli occidentali. Lo Stato filippino li considera una sorta di eroi nazionali, per le rimesse che garantiscono. Non manca il risvolto negativo: le autorità cercano di scoraggiare i ricongiungimenti familiari, proprio perché solo tenendo figli o mariti lontani dalle lavoratrici si assicura quel flusso imponente di denaro». La Maioni sottolinea un altro aspetto tipico dell´immigrazione filippina: «Le loro comunità sono molto strutturate e radicate sul territorio. Si danno mutua assistenza».
A prescindere dalle loro reali competenze, i filippini si sono infatti adattati al nuovo territorio, sbaragliando la concorrenza. Ne sono seguiti i pregiudizi: la stessa parola «filippina» per molti italiani sta ancora a indicare «collaboratrice domestica». Così come «marocchino» a lungo ha significato «immigrato». Una cosa però è certa: la loro nazionalità è diventata un marchio d´affidabilità, che ha monopolizzato il mercato del lavoro casalingo. E ancora oggi sono i più richiesti.
VLADIMIRO POLCHI, la Repubblica 23/4/2010.