ANDREA GRECO, la Repubblica Affari&finanza 19/4/2010, 19 aprile 2010
PICCINI, IL MANAGER ETNICO "PERCH DENTRO UNICREDIT SCATTATA LA SVOLTA COUNTRY"
Eccolo, il figlio della pace tra Unicredit e i suoi azionisti locali. Quasi nessuno sapeva chi fosse fino a martedì scorso, Gabriele Piccini. Ora appare come il primo individuo di una nuova specie, chiamata a rendere compatibile la missione delle multinazionali con le istanze campanilistiche originarie. O, altrimenti, le intemperanze di una banca giovane e cresciuta in fretta, annettendosi istituti antichi e in paesi molto diversi; col rischio di un centralismo poco democratico che perda di vista le ineludibili esigenze di territorialità nel mestiere. Ora Piccini, recita uno slogan interno, avrà il compito di «aprire 111 banche di credito cooperativo a insegna Unicredit» nella Penisola. Reti – non singoli sportelli, piuttosto direzioni commerciali – che già esistono, ma si devono riavvicinare al loro milieu, evidentemente un po’ trascurato di recente.
Il "manager etnico" si porta molto. la grande novità di questa fase, che lascia irrisolti e pospone i problemi strutturali mentre quelli di poltrone, parrocchie, facciate infiammano cuori, dibattiti e teste d’uovo. Al nuovo country chairman di Unicredit i toni rombanti della cronaca sembrano estranei, basta guardarne il curriculum. O anche il ritratto, che spesso rivela la persona. Colui che reggerà le leve dei business italiani per Piazza Cordusio, tra sei mesi in vigore con il piano "Insieme per i clienti" – che incorpora nella holding sette entità legali, rimodula i segmenti di clientela con più attenzione verso le Pmi e gli individui, introduce nuove deleghe di supervisione territoriale nelle tre aree Italia, GermaniaAustria, Est Europa – è nato nel 1956 a Seveso. Cuore della Brianza operosa, e non guasta. ragioniere, è sposato e ha due figlie, tifa Inter (neanche questo guasta in Unicredit) ha un carattere descritto da chi lo conosce come «espansivo, passionale, un po’ vecchia maniera». uomo di una sola banca, dacché ha iniziato nel ”78 al Credito italiano, lavorando nella rete commerciale, su per tutte le sue maglie: con incarichi a Rovigo, Milano, Corsico e in sede centrale. Dal ”98 è stato responsabile commerciale della direzione territoriale Lazio Umbria e Abruzzi, con sede a Roma, l’anno dopo guidava l’area retail del Credito Italiano, a Milano. L’anno dopo ancora, capo direzione territoriale retail Lombardia. Nel 2001 diventa condirettore centrale di Unicredito Italiano, e vice direttore generale di Banca Crt. Nel 2003 diventa vice dg della direzione commerciale di Unicredit Banca, due anni dopo ne è direttore generale. Dal 2008 è a capo della rete italiana dell’intero gruppo.
Un’escalation, ma tutta passin passetto. E tutta dentro le filiali, le quattro mura un po’ antiche che – ad onta delle serie difficoltà attuali, causate dal taglio del costo del denaro ai minimi storici – da due anni si sono prese la grande rivincita "morale" sui mutui subprime, la finanza cartolarizzatrice tutta mercati e anglicismi. Piccini sembra (è) un dirigente che della storia minuta e poco eroica di ogni filiale bancaria conosce ogni dettaglio. Proprio per questo, osservano ai vertici del gruppo – e a quelli delle sue maggiori Fondazioni – ha battuto la folta concorrenza interna a diventare «l’uomo della sintesi delle attività sul mercato domestico, il pivot nello sviluppo della strategia territoriale, con corresponsabilità per il conto economico del paese con i suoi business manager locali».
Dietro il linguaggio della comunicazione ufficiale stanno almeno due direttrici, che spiegano come s’è arrivati al riassetto, e alla nomina che lo impernia. La prima è interna, frutto delle speculazioni dei grandi capi negli ultimi due duri anni. «Siamo una banca giovane e internazionale, con un dna anziano e locale». uno dei motti cui ricorre l’alta dirigenza per spiegare il regno decennale di Profumo, in cui l’onusto Credito italiano si è annesso una ventina di banche trasformandosi in uno dei primi istituti europei, che ha 22 mercati domestici e opera in 50 paesi. Troppa grazia, troppo in fretta.
Per tenere a bada i rischi di credito e crescita, nel 2003 fu adottato «S3»: un modello di tipo divisionale che segmentava in tre rigide gabbie (retail, imprese, infine grandi patrimoni e risparmio) tutte le attività in tutti i paesi. Fu la scelta di Profumo per "mettere a matrice" le nuove prede che gli si arrendevano, in quel contesto di grandi consolidamenti. Una scelta opposta a quella federativa (è il modello, ad esempio, adottato dalla rivale Intesa Sanpaolo), vista come un gioco a somma zero: il gruppo è l’unità, gli addendi sono le banche a esso federate. S3 nasce come più ambizioso, perché offre un controllo centrale più stretto, che vorrebbe imporsi sugli inevitabili vincoli "geografici". Come la lingua, le regolamentazioni locali, gli usi e costumi, tutte cose che possono rendere insidiosa un’integrazione sovranazionale.
Dopo sette anni di S3 diversi osservatori – anche dentro le maggiori Fondazioni azioniste – hanno rilevato che il modello ha sopportato l’architettura della Grande Unicredit, ma ha pure mostrato dei limiti. Il principale, la scarsa attitudine a presidiare i territori, l’incapacità a garantire una rete a maglie fitte che soddisfi il cliente offrendogli una relazione personalizzata, stabile e accurata. Lo scandalo dei derivati venduti in eccesso da Unicredit alle piccole e medie aziende del Nord Italia fu una prima spia, che prima della crisi subprime alcuni uomini sulla rete avevano colto. E dopo la crisi, la fisiologica reazione dei grandi istituti (ridurre gli attivi di rischio) ha fatto sì che gli impieghi sul territorio si attenuassero. Fosse un effetto indotto della situazione – minore domanda di credito – fosse invece la grettezza dei banchieri (che non prestavano per evitare buchi nei conti e ricapitalizzazioni), fosse infine la polemica, a volte strumentale e mai mancata su questi temi, certo le grandi banche italiane ne hanno subito uno smacco di immagine. E proprio Unicredit è stata la più colpita, per la sua natura internazionale e per la presenza di importanti Fondazioni in Veneto e Piemonte. Sempre più riottose, perché frustrate nelle loro aspettative di ricevere alti dividendi, oltre che di supporto alle aziende che nelle loro geografie operano.
Qui si arriva alla seconda direttrice del cambiamento, più "politica" e recente. Si è già scritto molto sull’assalto della Lega Nord alle banche, usando come cavallo di Troia gli enti che di quel territorio sono espressione e rappresentanza. I toni si sono elevati a urlo negli ultimi giorni, a partire dalle elezioni regionali di fine marzo, che hanno consegnato al Carroccio regioni come Piemonte e Veneto (con un piede non proprio di fata in Lombardia). Ma il tema era già vivo, nelle agende di quei politici che hanno poteri sul territorio e sorvegliano le scadenze nelle poltrone delle Fondazioni ex bancarie. Si comincia in autunno con Cariverona, poi verranno Crt, Compagnia Sanpaolo, Cassamarca, infine la Cariplo, dove nel 2013 andrà trovato un successore di Giuseppe Guzzetti, che è un po’ il fondatore supremo. Come ha detto il vice presidente di Unicredit e dominus della Fondazione Crt Fabrizio Palenzona, non deve stupire che la Lega chieda di contare di più nei localismi bancari, perché sta nelle prerogative di chi raccoglie il voto popolare. E i manager di Unicredit, specie quelli della rete che sui territori ci stanno per forza, con questi amministratori locali collaborano da anni, pure se non sempre in modo felice. Come dimostra il voto di cda di Piazza Cordusio dello scorso dicembre, rinnegato a marzo da molti consiglieri (quelli espressi dalle Fondazioni, ma anche qualche socio privato come Maramotti). Un modo per alzare il prezzo, ma anche un segnale ben chiaro dato a Profumo e al suo team: che con queste dinamiche ci devono fare i conti, piacciano o meno. Martedì scorso il piano bis, rivisto con più attenzione ai territori (e la concessione del country chairman) è passato unanime in cda. Ma non c’era Luigi Castelletti, il vice presidente di nomina Cariverona, che nel voto del comitato strategico s’era astenuto, perché avrebbe voluto più deleghe e più propositive per la nuova figura.
Tra questi scogli dovrà navigare Piccini. Ma sia lui sia i manager che hanno messo a punto il riassetto (la responsabilità spetta al vice Ad Paolo Fiorentino) hanno fiducia che Unicredit coglierà grandi soddisfazioni dalle modifiche riavviate settimana scorsa. In termini di maggiore soddisfazione (che è come dire, minore malcontento) dei clienti, e di uno snellimento della struttura che farà di gestire con più facilità il turnover del personale. Quindi tagli, quindi risparmi di costi.
Un brianzolo con una carriera tutta in banca. Gabriele Piccini è nato a Seveso nel 1956. Ha iniziato la sua attività nel 1978 al Credito Italiano, nella rete commerciale. Nel gennaio 1998 è diventato responsabile commerciale della direzione territoriale ’Lazio Umbria e Abruzzi’, e l’anno dopo ha peso la responsabilità dell’area Retail nell’ambito della divisione Credito Italiano a Milano. Nel 2001 è stato nominato condirettore centrale di UniCredito Italiano, e vice direttore generale della Banca Crt. Nel 2003 ha assunto la carica di vice direttore generale responsabile della direzione commerciale di UniCredit Banca e nel maggio 2005 è stato nominato direttore generale.