Elena Lisa, La Stampa 19/4/2010, pagina 80, 19 aprile 2010
DOMANDE
& RISPOSTE: IL MISTERO DEL VULCANO
Stop dei voli e allarme per le polveri nell’aria, quella dell’Eyjafjallajokull è un’eruzione anomala?
No. Si tratta di un normalissimo vulcano, ricoperto da un ghiacciaio, l’Eyjafjallajokull da cui ha preso il nome. L’ultima eruzione è dei primi del 1821. Di quella in corso - spiega Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - sono gli stessi vulcanologi islandesi a non dirsi particolarmente preoccupati.
La presenza di cenere è un fatto straordinario?
In un certo senso sì. Ma è decisamente ordinaria, invece, la composizione delle polveri che quindi non deve destare allarmi.
Perché?
La produzione di cenere avviene solo quando nel vulcano c’è dell’acqua. Il magma nel cratere si solidifica rapidamente e, al momento dell’eruzione, anziché assumere la forma classica e spettacolare di lapilli e colate di lava dà origine a esplosioni di polveri. Resta il fatto che solidificazioni ed esplosioni non avvengono ogni volta in cui l’acqua è presente.
Di che cosa sono fatte le polveri?
Di ciò di cui sono fatte tutte le polveri dei vulcani: particelle di silicati e di metalli, come il ferro. Niente di velenoso e pericoloso per la salute, lo ha stabilito l’Organizzazione mondiale della Sanità. Si tratta comunque di sostanze molto «dure» che possono bloccare i reattori dei motori e ricoprire i vetri degli aerei fino a corroderli.
Quanto contano le correnti d’aria
nella sospensione dei voli?
Moltissimo. Addirittura le correnti determinano le situazioni d’emergenza. Nel 2002, dall’attività dell’Etna, si formò una massa di cenere che il vento spinse verso l’Africa, in una zona poco interessata dalle rotte aeree. Perciò l’aviazione civile non andò in tilt e il fenomeno non generò preoccupazione anche se, per precauzione, gli aeroporti siciliani e calabresi vennero chiusi.
Il periodo di allerta quanto può durare?
Anche se l’eruzione può prolungarsi per oltre un anno, la fase esplosiva si esaurisce nell’arco di due - tre giorni.
possibile prevedere in anticipo gli spostamenti della nube?
No. Le previsioni in queste situazioni sono molto complicate: le variabili dipendono dalla direzione delle correnti d’aria, che potrebbero cambiare rapidamente, dalla loro rapidità e dalla densità della nube di cui ancora non si è studiata la concentrazione.
L’eruzione de vulcano Eyjafjallajokull era stata prevista?
Sì, il 20 marzo è cominciata la fase effusiva che parte quando emerge la lava. Il 14 aprile i vulcanologi islandesi hanno registrato un cambiamento di stile, e la fase è diventata «esplosiva». Il magma era entrato in contatto con il ghiaccio che ricopre il cratere e sono incominciate le esplosioni.
Il vulcano era monitorato perché pericoloso?
No. L’Eyjafjallajokull non è classificato tra i vulcani da temere. In Islanda su oltre cento vulcani attivi, sono altri, una ventina, a essere controllati con particolare attenzione.
Si possono prevedere le eruzioni di tutti i vulcani?
Sì. E’ possibile perché prima delle eruzioni ci sono piccole scosse sismiche, il cratere si deforma e si verificano variazioni elettromagnetiche.
L’attività di un vulcano può innescare una reazione a catena e risvegliarne altri?
Non è escluso, ma nemmeno probabile. Le eruzioni in genere sono indipendenti. Non è comunque la presenza di più vulcani in azione a determinare la pericolosità dell’evento. Non contano nemmeno le dimensioni.
Qual è l’eruzione più recente di cui si ricordano gli effetti?
Quella del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, che nel 1991 provocò l’abbassamento della temperatura di circa mezzo grado. La media si riassestò, ma ci volle un anno. L’eruzione che più ha fatto storia, invece, risale alla fine del diciottesimo secolo.
Che cosa successe?
Viene ricordata come eruzione Laki, avvenne in Islanda e provocò una frattura di circa sessanta chilometri da cui fuoriuscì lava. Le polveri soffocarono l’atmosfera e cambiò il clima di tutto l’emisfero Nord. Nevicò d’estate, Benjamin Franklin ci scrisse un trattato. Gli effetti sul tempo si avvertirono anche negli anni successivi. Provocò carestie. C’è chi pensa che furono proprio le condizioni climatiche che, contribuendo a espandere la povertà, rappresentarono la miccia per lo scoppio della rivoluzione Francese nel 1789.