Francesco Impallomeni, La Stampa 18/4/2010, pagina 31, 18 aprile 2010
L’AFRICA SVENDE LE SUE TERRE E LA SOVRANITA’ ALIMENTARE
Nella maggioranza dei Paesi dell’Africa la terra è ancora oggi considerata un bene comune perché, sostengono i suoi abitanti, «non è possibile possedere ciò che non si è costruito». Alla luce di questo principio appaiono ancora più assurdi gli accordi con cui i governi africani stanno svendendo decine di milioni di ettari di terra coltivabile ai governi e alle imprese private dei paesi ricchi.
Si chiama «land grabbing», tradotto, «accaparramento dei terreni», ed è la nuova forma di «colonialismo» che si basa sull’affitto o acquisto di grandi appezzamenti di terreni in Africa e negli altri Paesi del Sud del mondo. Niente di nuovo per chi da secoli è stato serbatoio di materie prime e di manodopera a basso costo per le potenze coloniali. In realtà l’attuale tendenza al «land grabbing» su larga scala mostra alcune differenze rispetto al passato. A essere interessata alle terre d’Oltremare non è più solo l’Europa, ma sono i Paesi emergenti come le petro-monarchie del Golfo, la Cina e il Sud-Est asiatico. Alcuni cercano di investire un surplus di capitale per far fronte al deficit di risorse, assicurandosi investimenti a basso rischio in un’epoca di turbolenza finanziaria, altri hanno l’esigenza di investire in biocarburanti, gomma e oli.
In un modo o nell’altro, i terreni e le foreste sono sottratti alla gestione delle comunità locali che vengono ulteriormente marginalizzate e private dell’unica fonte di sostentamento. A fronte delle accuse di neocolonialismo, la Banca mondiale si è premurata di stilare una lista di principi per un «land grabbing» socialmente accettabile. In realtà, come si evince dall’appello diffuso da Via Campesina (pubblicato su www.slowfood.it), si tratta di palliativi per legittimare l’acquisizione di terreni su larga scala che minacciano la sovranità alimentare dei popoli.
I Paesi che svendono le proprie terre sono gli stessi che ricevono ogni anno milioni di aiuti in derrate alimentari. In Etiopia, ad esempio, gli investimenti stanziati dall’Arabia Saudita per assicurarsi terra coltivabile, sono pari agli aiuti dell’Onu per far fronte alla malnutrizione. Quest’ultimo dato ci dice che il cibo non manca, ciò che manca sono politiche capaci di avvicinare produttori e consumatori, cambiando un sistema alimentare nel quale continuano a esistere obesi e affamati.