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 2010  aprile 09 Venerdì calendario

QUEGLI ANGOLI D’ITALIA FIGLI DELLO «SPAESAGGISTA»

Un grand tour attraverso l’Italia metafisica. Milano, la Ca’ Brutta di Giovanni Muzio. Finestre, timpani, occhi di bue, archi ciechi: la purezza degli angoli retti e delle pareti nude caratterizzano una grammatica asciutta. Roma, Palazzo della Civiltà Italiana. Il Colosseo Quadrato propone un calibrato gioco tra maestosità e dinamismo: è sintesi tra atmosfere classiche (nell’imponenza dell’edificio) e soluzioni futuriste (nella ripetizione del motivo delle arcate sulle facciate). Sabaudia, il regno del silenzio. Il centro urbano è occupato dalla torre municipale: un palcoscenico fermo, con sequenze di palazzi, disposti con insistiti ritmi orizzontali. Il cimitero di Paliano. Uno spazio senza vita allestito da Massimiliano Fuksas, con «blocchi» rigorosamente definiti. Infine, Perugia, Fontivegge: tra i progetti più controversi di Aldo Rossi. Un luogo senza tempo, con corpi di fabbrica in pietra, che circondano una grande piazza lievemente inclinata.
Ad accomunare questi diversi episodi è la medesima matrice: Giorgio de Chirico.
Chi è stato davvero, de Chirico? Un paradosso. Insieme con Mondrian, è stato tra gli artisti più architettonici del XX secolo. Pianificatore di «città analoghe», fondate sulla combinazione tra memorie archeologiche e sguardi contemporanei. Sono «spaesaggi» (secondo Cocteau), in cui convivono ricordi ferraresi (il Castello Estense) e tracce novecentesche (le ciminiere), sovrastando manichini superumani. Geografie dell’assurdo, che esprimono l’importanza del «senso costruttivo», inteso
come stratagemma compositivo indispensabile per collegare individui e natura.
Al di là di queste fascinazioni, il Pictor Optimus non condivide le aperture delle avanguardie primo-novecentesche: non auspica un’integrazione tra i linguaggi. Indifferente alle oscillazioni del gusto, sottolinea il valore del recupero delle tecniche antiche: frequentatore di musei, cultore della disciplina del disegno, studia i trattati sul colore. Nel corso del suo lungo itinerario, con l’eccezione di un intervento murale (alla Triennale del 1933), non si allontanerà mai dai confini della tela: la sua sfida si svolge sempre all’interno della cornice.
Un apocalittico, che muove dall’idea secondo cui l’artista non ha alcuna funzione militante. I suoi gesti, infatti, non sono mai attraversati da slancio utopistico. «Penso alla pittura, solo scopo della vita mia...», scrive in una lettera, alludendo alla sua unica ossessione. La pittura, appunto: «bella materia», esercizio magico, alchimia struggente, scrigno che raccoglie i miracoli del visibile.
Nonostante queste convinzioni, quasi suo malgrado, de Chirico è stato tra gli autori più saccheggiati dagli architetti. Il suo sillabario metafisico’ basato su «parole» solenni (torri, colonne) e liriche (archi, ombre, prospettive inesatte) – è stato usato da progettisti di diverse tendenze, tra modificazioni e prelievi. Dal rappel à l’ordre post-bellico al postmodern degli anni ottanta. Dai sostenitori del ritorno alla monumentalità ai protagonisti del decostruzionismo, dai creatori delle città di epoca fascista ai profeti dell’architettura disegnata. Da una parte, Muzio, Terragni e Piacentini, che indugiano sull’austerità. Dall’altra parte, Rossi, Portoghesi e Fuksas, che si soffermano sul gusto per il pastiche e per la citazione differita. Echi metafisici si propagheranno anche oltreoceano, come dimostrano gli omaggi invisibili di Kahn, di Barragan. E di Moore, la cui Piazza d’Italia a New Orleans è una rilettura kitsch degli scenari dechirichiani.
Cosa resta della lezione del padre della Metafisica, regista di teatralità inquietanti? Lemmi decontestualizzati, acquisizioni indebite, furti nascosti. Spesso ci si è limitati a riprendere solo la componente figurativa. Mentre si è trascurata la carica concettuale: la capacità straniante di accostare differenze. Nelle trasposizioni che provengono da opere come «L’enigma dell’ora» non vi sono più attese, sospensioni, vuoti. Vi si smarrisce anche la potenza scandalosa sottesa alle invenzioni di de Chirico.
Forse, lo «spaesaggista» commenterebbe i plagi dei suoi eredi con sarcasmo. Come quando, in un bar romano, gli si avvicinò un signore. «Maestro...», esclamò. La risposta di de Chirico fu sprezzante: «Maestro? Non ci siamo mai visti, e io non le ho insegnato niente...».
Vincenzo Trione