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 2010  aprile 08 Giovedì calendario

SONO ALTRI I VERI MALATI D’EUROPA


Il dato è di quelli sorprendenti e forse proprio per questo non è stato rilevato. Ma l’Economist – il teorico dell’Italia ”malata d’Europa” – ha dovuto prendere atto che la situazione, nel frattempo, è profondamente cambiata. Gli italiani non sono più gente spensierata ed inaffidabile, secondo lo stereotipo tanto caro alla tradizione anglosassone; ma persone serie che, nel momento del bisogno, sanno rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. Il 2009 ha fatto emergere solo in parte queste qualità. Il deficit di bilancio, che l’Istat ha appena certificato, sarà pari al 5,2 per cento; quando in Germania, almeno secondo le stime più recenti, sarà solo di poco superiore al fatidico 3 per cento previsto dagli accordi di Maastricht. Nulla di nuovo sotto il sole: da un lato la prodigalità, dall’altro il rigore. Ma per il 2010 sarà tutta un’altra storia. Le previsioni dell’autorevole settimanale indicano per l’Italia una sostanziale stabilità (5,3 per cento) ma per la Germania un vero e proprio salto della quaglia. Il buco nei conti pubblici sarà, infatti, pari al 5,6 per cento. Un mito che si infrange. Se poi si considerano gli altri Paesi, lo sconcerto diventa irresistibile: il deficit dell’eurozona sarà pari, in media, al 7,2 per cento, quello francese all’8,6 per cento. Per non parlare, infine, degli Usa (11,1 per cento) e del Governo di Sua Maestà britannica (13,5 per cento): maglia nera di questa preoccupante classifica internazionale.
L’importanza di questo implicito riconoscimento, che premia la tenacia di Giulio Tremonti, è evidente. L’Economist è il giornale della City. Riflette e orienta il sentiment dei mercati internazionali. Averlo dalla propria parte, specie dopo la lunga sequela di attacchi contro il Governo Berlusconi, è il segno di una svolta. A dimostrazione che nessuno è profeta in casa propria. Se l’opposizione italiana non lesina critiche alla politica economica del Paese – tacciata d’immobilismo – all’estero, seppure, a volte, a malincuore – si suona una musica diversa. Riconoscimenti positivi dagli organismi internazionali – Fmi e Ocse – plausi delle società di rating – Moody’s innanzitutto – ed ora la grande stampa che guarda con stupore agli improvvisi cambiamenti di fronte. Paesi un tempo virtuosi, come la Germania, che si ritrovano più fragili ed esposti alla cattiva congiuntura. Altri, come l’Irlanda o la Spagna, una volta portati d’esempio, ed oggi alle prese con il rischio di un default. La stessa Inghilterra, il centro della finanza continentale, messa alle strette dai difficili problemi degli equilibri di bilancio e da un debito pubblico che cresce in forma esponenziale.
Ma questi dati fanno, anche, comprendere meglio quale sia la portata del dibattito, all’interno del Governo tedesco, sulla vicenda della Grecia, colpita sempre più duramente dai mercati, che ora chiedono tassi d’interesse superiori al 7 per cento, per il rinnovo dei titoli in scadenza. L’ostilità di Angela Merkel, nell’ipotizzare la concessione di crediti agevolati a favore di Atene, non è tanto il frutto d’irrinunciabili questioni di principio, che pure contano. Né della paura di un possibile intervento della Corte costituzionale, che metterebbe in mora le eventuali decisioni del Governo. Quanto il riflesso di un deterioramento effettivo dei conti pubblici del Paese, che sopporterebbero, con difficoltà, il maggior onere di un intervento a favore di un Paese amico, ma non certo esente da responsabilità. Né questa prudenza è venuta meno a seguito delle pressioni delle grandi banche tedesche, che sono tra le più esposte sul fronte greco e che hanno trovato sponda in Wolfgang Schäuble, il ministro dell’Economia: da sempre più incline – ma qui la solidarietà c’entra solo fino ad un certo punto – all’intervento. Nulla da fare. Non è più il tempo, dice la Merkel e questo vale anche per l’Italia, per giocare con i numeri della finanza pubblica. Si rischia solo di bruciarsi le dita.