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 2010  aprile 08 Giovedì calendario

NESSUNO TOCCHI IL MIO CAOS

Ora c’è un incubo nella mente del disordinato. «E se qualcuno, per farmi grata sorpresa, mi mandasse quelle orde di riordinatori?». Il disordinato li guarderebbe stordito come i monaci medievali spiavano le orde magiare, imbestialite dalla brama di depredare il monastero. Perché il disordine, per una fetta d’umanità, è ossigeno per respirare, pensare, sentirsi a cuccia. Per stare bene - accidenti -, benissimo. Hanno un bel sorridere gli ordinati, che nel caos tutto si perde e nulla si trova. I disordinati rispondono chissenefrega, il mio mondo è bello, solo se ci sono angoli da disordinare.
L’homo disordinatus è l’anello di congiunzione tra l’essere e il nulla. Lo accusano d’essere bamboccione, in realtà è solo innamorato del proprio disordine. Vive nel senso di colpa da prevaricazione («il tuo disordine è mancanza di rispetto al prossimo» gli rinfacciano), ma poi soccombe, perché l’ordinato, caparbio, la vince sempre. Il disordinato è costante, non trova mai chiavi, accendino, orecchino. Non una, dieci, mille, ma centomila volte, perché ha bisogno di quella recidività. L’affannosa ricerca, in affanno di tempo, è un supplizio, ma la soddisfazione di rintracciare l’oggetto scomparso nel disordine, per botta di fortuna, è immensa, estatica, quasi metafisica. Il disordinato non può permettersi di essere nevrotico (altrimenti metterebbe subito in ordine tutto), e nemmeno serial killer (verrebbe scovato). Il disordinato è solo fragile, costretto a guardare con sospetto persino la colf troppo solerte.
Chi sa che fare nella vita, di solito, ostende scrivanie sgombre come deserto. La scrivania del disordinato è invece il campo eroico delle Termopili, un ghiacciaio di Friedrich, un orologio liquido di Dalì. Libri, bollette, carte di caramellle, pietruzze, mozziconi di sigarette. Il disordinato è come un tollerante pascià, accumula, lascia che le sue reliquie si sistemino da sole, assumano gerarchie casuali e capricciose. Fatica a buttar via le cose, e non per volontà di possesso: quel che conserva nel disordine è come se non lo avesse. Lo fa piuttosto per non staccarsi dalle gocce dei ricordi che inattese (perché in disordine) spalancano abissi nel tempo perduto. Proust, sicuramente, era disordinato.
Il disordinato è un po’ più vicino alla malinconia (il caos dell’animo) di quanto lo sia l’ordinato. E talvolta sa che le splendide manie di mettere ordine si sbriciolano nel disordine. Basta aspettare, ordinatamente.