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 2010  aprile 04 Domenica calendario

RIVALUTARE O NO LO YUAN

La discussione è avviata, la macchina pubblica della rivalutazione è in movimento, ma le posizioni sono ancora molto lontane e non è chiaro quando e quanto la moneta cinese, lo yuan renminbi (Rmb), modificherà il suo cambio con il dollaro americano, rimasto fisso per oltre due anni. Ci sono stati dibattiti a porte chiuse e aperte dove alcuni esperti stranieri, scelti con le pinze, sono invitati a difendere i motivi della rivalutazione in toni franchi ma ragionevoli per i cinesi.
La prima reazione del pubblico, degli economisti e dei vari ministeri è spesso irata, viscerale. In sostanza dicono: cosa fanno gli americani? Prima ci chiedono i soldi in prestito e poi, quando si tratta di restituirli, pretendono lo sconto e non lo chiedono nemmeno come un favore ma lo esigono battendo i pugni sul tavolo? Oppure: gli americani vogliono risolvere il problema di disoccupazione in casa loro creando la disoccupazione da noi, e in più minacciano guerre commerciali?
La questione della rivalutazione è diventata emotiva, di principio, politica, abbandonando il piano economico di come aiutare a rimettere in moto le economie degli Usa, dell’Europa e dell’Asia. Quando gli animi si placano, però, qualcuno ammette che non è la panacea, ma qualcosa si potrebbe fare. Il problema è che paradossalmente più l’America chiede pubblicamente la rivalutazione più il governo cinese ha difficoltà ad avviarla. Se Washington non avesse sollevato la questione apertamente forse lo yuan avrebbe già cambiato di prezzo rispetto al dollaro, spiegano economisti e alti funzionari cinesi.
Pechino, in mezzo al guado tra dittatura e democrazia, sta cercando di creare un consenso popolare. Teme che la fine del cambio fisso costerebbe milioni di posti di lavoro nelle aziende esportatrici. Hanno margini di profitto minimi, e un apprezzamento del 10%, ipotizzato oggi, rischierebbe di spazzare via migliaia di fabbriche. La creazione del consenso è difficile e lunga. Il presidente Hu Jintao incontrerà a metà mese a Washington Barack Obama e gli porterà in dono le pressioni cinesi contro il nucleare iraniano. E Pechino non vede il motivo per regalare agli Usa, oltre all’Iran, anche lo yuan. Una carta che semmai potrebbe venire giocata quando la situazione in patria sarà più favorevole, dopo che l’abbraccio tra Hu e Obama avrà rasserenato gli animi.
Per la Cina si tratta comunque di un contentino diplomatico, non di una misura strutturale. Il problema non è il Rmb ma la domanda interna che decolla a fatica a causa della composizione strutturale della spesa cinese. Il tasso di risparmio in Cina è di circa il 50%, ma la gente per risparmiare di meno dovrebbe avere un sistema di garanzie sociali. In Cina si paga tutto in contanti, dall’ospedale alla scuola, e quindi tutti devono avere soldi da parte. Né stanno meglio le aziende, visto che le banche aprono e chiudono il credito a seconda del vento. Da circa un anno si lavora a un sistema di garanzie sociali, ma perché cominci a funzionare ci vorranno almeno dieci anni. Il mondo non può aspettare così tanto per l’apprezzamento del Rmb.