Fabrizio Goria, Il Riformista 2/4/2010, 2 aprile 2010
CONFERMATO, L’ITALIA VUOLE REGOLARE LA FINANZA CREATIVA
La regolamentazione dei derivati di credito avanza in Italia. Il progetto Credit risk mitigation, condotto dalle prime cinque banche italiane in collaborazione con l’Associazione bancaria italiana, non si ferma.
Il Riformista ha potuto visionare alcuni documenti inerenti, che confermano come il processo intorno alla creazione di un listino sui Credit default swap, i derivati che immunizzano dal fallimento di un asset, sia molto vivace. Donato Masciandaro, docente di Economia della regolamentazione finanziaria della Bocconi e direttore del dipartimento di Economia, ci spiega che «è un’iniziativa favorevole, sono convinto che non debbano esistere mercati molto ampi senza una disciplina normativa». E Damiano Brigo, managing director di Fitch solutions e docente di Matematica all’Imperial College, dice: «L’idea di creare un credit index italiano è interessante, ma per poter essere efficace occorre che un numero rilevante di Cds su nomi italiani siano e rimangano liquidi. La liquidità potrebbe essere o divenire in qualche caso insufficiente, soprattutto quando si guarda a subportafogli per settori».
La sperimentazione, che va avanti da quasi un anno e mezzo, punta alla riduzione dei rischi di credito. Sono coinvolte Banco Popolare, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena e UniCredit. Inizialmente c’era anche Ubi Banca ma, come ricorda Reuters, durante l’ultimo incontro ha deciso di restare momentaneamente in disparte. Il nome probabile del nuovo indice è Main Italy Index e sarebbe composto da oltre 100 emittenti corporate. Un esponente bancario spiega che «attualmente il mercato dei Cds in Italia è condotta su un panel di sei attori, fra cui Telecom e Finmeccanica». Il progetto garantirebbe «una maggiore liquidità di sistema», ma c’è un ulteriore rischio. Dotare il sistema italiano di un listino indicizzato potrebbe esporre alla speculazione. Si ovvierebbe a questo problema con la vigilanza garantita dalla Banca d’Italia. Inoltre, spiegano fonti finanziarie, «si creerebbe una serie di strumenti, come gli Exchange traded fund (fondi indicizzati che replicano listini di varia natura), capaci di movimentare di molto i mercati».
Le finalità di tutta le prove tecniche sono molteplici. Da una parte si punta a permettere una gestione virtuosa degli asset di credito delle banche. Dall’altra, come riporta il progetto, «ottimizzare gli assorbimenti di capitale attraverso la diversificazione del rischio a livello settoriale e di controparte». In mezzo, l’allargamento della liquidità di mercato e la nascita di nuove funzionalità operative per gli istituti di credito. Del resto nel nostro mercato, ricorda il memorandum del piano, «ci sono problemi a comprare protezione attraverso i Cds». Il motivo è uno solo: in Italia ci sono solo mercati Over-the-counter (Otc, non regolamentati), su cui sono presenti «pochissime controparti, per di più care per gli operatori». Il programma prevede che nasca una clearing house, camera di compensazione, in cui tutti i contratti derivati di credito sono gestiti giorno per giorno. Il modello di riferimento è quello della Depository trust and clearing corporation, l’ente americano che gestisce buona parte dei Cds mondiali. Su questo punto, Brigo spiega che «c’è una considerevole discussione sul fatto che i Cds debbano essere scambiati attraverso clearing houses invece che over the counter». Secondo lui le clearing house «eliminerebbero parte del rischio controparte ma aprirebbero altri problemi di gestione. Se è vero infatti che la marginazione elimina quasi completamente il rischio controparte, dall’altro lato rende il Cds uno strumento i cui costi vanno coperti continuamente seguendo il mark-to-market per riflettere le variazioni del rischio di credito, anche se questo può essere attenuato da meccanismi di collateralizzazione maggiormente sofisticati».
Rimane un interrogativo, concernente l’attuale segretezza del progetto. Secondo gli addetti ai lavori è colpa del precario stato di avanzamento dei lavori. Masciandaro spiega però che c’è un’altra possibilità: «Il mercato mondiale dei Cds è diviso, ci sono i grandi operatori che hanno interesse a mantenere opaco questo segmento, altri che invece invocano un’apertura, che genererebbe nicchie di profitto».
Sul fronte della Banca d’Italia, qualcosa si è mosso. Dopo l’incontro programmatico del 24 marzo scorso, pare sia emerso l’interesse di Palazzo Koch a verificare l’andamento del progetto con un workshop. Il prossimo appuntamento sarà necessariamente prima di giugno. Fra due mesi infatti ci sarà il giro di vite comunitario sulla regolamentazione dei derivati di credito. Il commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier, durante l’ultima riunione dell’Eurogruppo ha specificato che in giugno ci sarà la prima bozza di nuova disciplina.
Masciandaro su questo punto è certo: «Se l’Italia si sta muovendo prima di tutti, è meglio che non aspetti l’Ue». Purtroppo mancano ancora alcuni passaggi per il completamento della sperimentazione. Occorre garantire un corretto assetto di prezzi di questi strumenti e le banche stanno lavorando su questo versante.
La strada è ancora lunga, ma Brigo ricorda anche che «va compiuta una missione culturale per informare il management non-tecnico delle banche italiane (e non solo italiane) sui rischi legati ai derivati di credito». L’esperienza del recente passato finanziario ha messo in luce quanto l’asimmetria informativa che vige in questi mercati possa essere dannosa.