Fulvia Caprara, La Stampa 3/4/2010, pagina 1, 3 aprile 2010
DALLA VITA E’ BELLA A UNA VITA NORMALE
Sembrava un bambino d’altri tempi, vispo e molto esile, senza le guance paffute dei coetanei cresciuti a merendine. Roberto Benigni lo scelse per questo: doveva vivere al suo fianco il dramma della deportazione nel lager della Vita è bella e alla fine farla franca, sorridente tra le braccia della mamma, Nicoletta Braschi.
Tra nove giorni Giorgio Cantarini, che nel film si chiamava Giosuè, diventa maggiorenne e, come tanti altri ragazzi, pensa soprattutto a una cosa: «La patente, non vedo l’ora di poter guidare la macchina, non ne posso più del motorino che mi si rompe sempre».
A cinque anni era una star. Sulla sua strada di bimbo qualunque, nato a Orvieto, cresciuto a Montefiascone, genitori separati, madre ostetrica, il successo era scoppiato come una bomba. Chiunque, davanti a quell’esplosione, avrebbe cambiato orizzonte, sarebbe volato a Hollywood, pronto a battere il ferro finché era ancora caldo. Lui no, è rimasto dove stava, con la mamma attenta a proteggerne la sana timidezza: «Dopo La vita è bella - racconta la signora Giovanna - siamo stati bombardati di proposte, le valutavamo una per una, ma alla fine dicevamo sempre di no. A Giorgio non piaceva essere identificato con il personaggio del film, non si riconosceva nell’esaltazione del momento, evitava di rivedersi in tv quando passavano i trailer. Voleva continuare a fare le cose di sempre, andare a scuola, giocare a pallone». Guardando le esistenze sconquassate di tanti ex babydivi si potrebbe dire che Giorgio abbia preferito vivere: «Abbiamo voluto che il suo quotidiano non cambiasse, i tempi del mestiere d’attore non somigliano mai a quelli di un bambino normale, è tutto falsato, si finisce per essere trattati non per quello che si è, ma per quello che si rappresenta».
Nel 2000, finalmente, arriva un sì. Ridley Scott lo vuole a tutti i costi nella parte del figlio di Maximus, protagonista del Gladiatore: « stato un impegno breve, solo due o tre giorni, Giorgio aveva sette anni e si divertì moltissimo perché quella volta c’erano i cavalli, i costumi... Chiedeva sempre della roulotte, per lui il cinema era soprattutto quello, avere una roulotte dove chiudersi a saltare». Anche stavolta è film-fenomeno, pioggia di Oscar, incassi alle stelle. Se non è ancora un grande attore, di certo Giorgio è un gran portafortuna, dove c’è lui si vince. Nel superstizioso mondo dello spettacolo, sarebbe bastato questo a farne un divo. E invece: «Mi dava fastidio essere fermato per strada, fin da piccolo ho sempre cercato di non enfatizzare queste mie esperienze poi, crescendo, ho capito che la fama è destinata a finire. Sono un ragazzo normale, mica di quelli con i soldi, che vanno alle scuole private. E poi la mia vera passione è un’altra».
Fino all’anno scorso Cantarini ha giocato a calcio nella Juniores di Montefiascone: «Ho interrotto perché la scuola richiede tanto impegno, ma anche per vedere com’è la vita senza il calcio. Ho avuto un po’ più di tempo libero, ho ripreso a suonare la batteria». Senza il cinema, questo è sicuro, ha vissuto benissimo: «Non ho mai sentito l’impulso forte di recitare, anche se, certo, è un mestiere che m’intriga. Più che farlo, un film mi piacerebbe scriverlo». Una sola volta Giorgio ha puntato i piedi: «Era un regista famoso - racconta la mamma - si sono incontrati e dopo mio figlio mi ha detto: io con questo non ci lavorerò mai».
Sembra strano, ma vivere lontano dai riflettori non è affatto difficile, anche per chi ne ha conosciuto bene la luce accecante: «C’è un sacco di gente che va avanti solo perché ha le ”zeppe”, insomma, è raccomandato, oppure perché ha partecipato al Grande fratello. Io non l’ho mai visto e ne vado fiero. I ragazzi che ci vanno non capiscono che il pubblico ride di loro e non con loro». In tivù Giorgio preferisce seguire Lost e anche i Simpson di cui è espertissimo. I film li guarda su Internet e per il dopo liceo qualche idea ce l’ha già: «Vorrei seguire i corsi di Scienza investigativa per la sicurezza, esistono, mi sono informato. Sarà banale, ma la mania per le indagini mi è venuta vedendo CSI».
Dell’Oscar per La vita è bella conserva la memoria quieta di uno spettatore: «Ricordo Benigni che camminava in bilico sulle poltrone e poi il momento in cui ha fatto il mio nome». L’amicizia ha resistito al tempo: «Ci sentiamo, anche se di rado. Sono rappresentante d’Istituto, una volta l’ho invitato nella mia scuola, volevo che parlasse di Dante, ma aveva un impegno e non è potuto venire». L’ultima conversazione risale a un mese fa: «Gli ho detto che appena prendo la patente, mi metto in macchina e vado a Roma a trovarlo».