GIORGIO BOCCA, la Repubblica 3/4/2010, 3 aprile 2010
ALL´ORIGINE DELLO TSUNAMI
Perché la Lega ha vinto o, come dice il suo fondatore, ha travolto tutto come uno tsunami? La risposta potrebbe essere questa: ci sono milioni di italiani che ieri erano poveracci ma che oggi devono difendere un benessere medio basso di massa. La maggior parte vive nelle regioni ricche del Nord ed è in esse che si è aggregata in un partito organizzato e disciplinato come i vecchi partiti, con una direzione forte e un capo riconosciuto. Un partito molto differente da quello dei moderati berlusconiani e dei riformisti del partito democratico. Differente come? Nel 1993 scrissi su questo giornale un articolo intitolato «Forza barbari» che agli occhi della sinistra parve un tradimento, una resa ai vincitori delle elezioni in Lombardia. Per me era una presa d´atto che oggi dopo le regionali andrebbe ripetuta: la Lega rappresenta i desideri e le paure reali di milioni di italiani del Nord ma anche il numero crescente del resto d´Italia: interessi, egoismi e paure dichiarati apertamente. Né belli né eleganti agli occhi di altri italiani ma fortemente difesi e rivendicati, fuori da ogni ipocrisia. Un modo di fare politica che ha trovato vasti consensi in una stagione storica più ricca di incertezze e di dubbi che di punti sicuri di appoggio.
Quali sono gli interessi, gli egoismi, le paure che portano voti alla Lega? In primis la difesa di un benessere economico e civile ottenuto dai ceti emergenti negli anni in cui il Nord Italia è diventato una delle regione più ricche d´Europa, con la crescita di una piccola e media borghesia composta da operai polivalenti, coltivatori diretti, commercianti che non hanno più da perdere solo le loro catene come le precedenti generazioni ma case, automobili, conti in banca, mobili. I nuovi ceti che la borghesia delle professioni e del censo ha sempre disdegnato come incolta e grossolana. I leghisti non piacciono agli italiani dabbene, sono ignoranti, riesumano un localismo mediocre. Uno dei loro, l´onorevole Leoni, ha inaugurato l´amministrazione leghista a Varese con un discorso in dialetto: «Sciur president, culèga, el caciass ca´ ghem incoeu l´è quel detruva u accord». Come a uno spettacolo dei legnanesi filodrammatici dialettali.
Il loro leader invecchiando parla in modo incomprensibile. Non privo di un umorismo popolaresco ma zotico. «Mio figlio il delfino? Diciamo che è appena una trota», «De Mita? Brutto di giorno e di notte». E poi quali sproloqui sull´etnia lombarda e sulla civiltà dei celti che nessuno sa cosa sia stata e quegli appelli all´unione dei lombardi e il ciarpame folcloristico. Alberto Arbasino ha dedicato a questi critici della Lega un brano spassoso: «Questi che rifiutano l´abominevole culturame degli indigeni padani nelle loro deplorevoli fabbrichette dedite solo alla produzione bruta e non già a portar avanti il dibattito sul ruolo degli intellettuali e percepiscono un drammatico calo di valori culturali nel passaggio dal socialista Pillitteri al leghista Bossi». Una sottovalutazione snobistica in una città come Milano, dove la borghesia colta aveva perso negli ultimi venti anni le grandi occasioni per la modernizzazione.
Ma quali sono le ragioni e i meriti concreti per cui la Lega ha tenuto e ora celebra il suo tsunami, la sua clamorosa vittoria alle elezioni regionali? Una delle ragioni è di essere un partito compatto e disciplinato: Bossi dura da più di vent´anni, il suo primato è indiscutibile, quando Maroni tentò una sortita venne richiamato all´ordine e tornò fedelissimo. L´altra sono i segni di una identità, il colore verde esibito nelle cravatte e nei fazzoletti, la difesa degli interessi locali. Ecco perché i nuovi governatori del Piemonte e del Veneto sanno come esordire. Cota: «A me di Termini Imerese non importa niente, io penso al Lingotto e a Torino». Zaia: «Il ministero dell´Agricoltura? Lo lascio ai romani, io preferisco incontrare i contadini del Veneto».
Un altro valore della Lega è di essere un partito dove non si ruba e non si frequentano donnine facili. Insomma un partito moralista alla maniera piccolo borghese, magari ipocrita ma non sbracata o indecente. La Lega tiene e si allarga grazie al fallimento della politica o se si vuole della democrazia, grazie al cattivo spettacolo di una politica che è diventata un mercato di privilegi e di ricchezza dove il denaro sembra essere il valore se non unico prevalente. E quali sono infine i rischi e le debolezze della Lega? Essere il vero partito della destra italiana in un´Europa dove la destra riprende sempre di più i connotati del poujadismo e ancora prima del nazionalsocialismo. Una destra regionalista che ora riattacca con forza la canzone del federalismo fiscale variamente abbellito e edulcorato, ma che i leghisti e gli italiani colgono per quello che è: le province ricche sempre più ricche, quelle povere rassegnate al loro degrado.
Un giorno mi trovai su un aereo diretto a Berlino assieme al professor Gianfranco Miglio, lo scomparso teorico della Lega. Uscimmo dall´aeroporto e Miglio si fermò nel piazzale, respirò a lungo e profondamente l´aria un po´ elettrica della Prussia, poi mi guardò e disse: «La Germania, che grande Paese». Il partigiano rimasto in me ebbe un trasalimento.