Paolo Rastelli, Corriere della Sera 03/04/2010, 3 aprile 2010
L’IRREDENTISMO? «MEGLIO LA PACE E LO SVILUPPO»
«Lasciar gridare sotto le finestre dell’ambasciatore di una potenza amica di volere la guerra con essa, e tollerarlo per oltre mezz’ora, è qualche cosa di enorme». Questo commento del Corriere del 23-24 luglio 1878 alla cronaca di una manifestazione per Trento e Trieste, promossa dall’associazione l’Italia
irredenta davanti all’ambasciata d’Austria a Roma, lascia pochi dubbi su quale fosse la posizione del giornale: decisamente negativa verso le rivendicazioni «etnografiche», ossia quelle che pretendevano di fissare i confini delle nazioni sulla base dell’appartenenza linguistico-nazionale. Il Corriere era contrario in nome della pace, perché vedeva in questo approccio «germi di insolubili contese», mentre l’Italia aveva bisogno di tranquillità per continuare a costruire lo Stato nazionale. Stesso atteggiamento anche al momento dell’esecuzione di Guglielmo Oberdan del dicembre 1882 (che il giornale chiama Oberdank, con la grafia originaria non italianizzata, e anche questo la dice lunga). Grande pietà umana (la cronaca delle ultime ore del condannato è toccante), ma decisa condanna politica («Compiangiamolo ma non mettiamolo sull’altare»). Tanto più che l’Italia era appena entrata nella Triplice Alleanza con Austria e Germania, mettendo fine a un lungo isolamento. Direttore era ancora il fondatore Eugenio Torelli Viollier. Meno di trent’anni dopo, con Luigi Albertini, il giornale si sarebbe schierato con l’interventismo democratico. Un’altra Italia e un altro Corriere.
Paolo Rastelli