Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 31/03/2010, 31 marzo 2010
RISCHI DEL VOTO PALESE MERITI DEL VOTO SEGRETO
Riprendendo una sua risposta su voto «segreto» e voto «palese» in Parlamento, le chiedo perché l’elettore comune non possa, e non debba, votare sempre in modo palese. Che sia solo pigrizia non voler cambiare?
Gianfranco Mortoni
gianfrancomortoni@libero.it
Caro Mortoni, il voto palese è quello preferito dai regimi autoritari. Quando Mussolini, nel 1929, decise di rinnovare la Camera dei deputati, su 9.460.737 italiani aventi diritto al voto, i sì furono 8.661.820 e i no 135.773. Fra questi ultimi vi fu Umberto Morra, figlio di un generale devotamente monarchico, amico di Berenson, Moravia, Guttuso e futuro direttore dell’Istituto italiano di cultura a Londra. Poté votare no nel suo seggio di Cortona perché era una personalità molto conosciuta, anche all’estero, e il regime preferì trattarlo con i guanti.
In Unione Sovietica e nei regimi comunisti sorti in Europa centro-orientale dopo la fine della Seconda guerra mondiale, le operazioni di voto erano ancora più semplici. Nei seggi esisteva una sola scheda e gli elettori erano dispensati dalla fatica di scegliere. Il problema, se mai, era quello di portare ai seggi il maggior numero possibile di elettori (abitualmente più del 95%). Ma a questo provvedevano, con esortazioni e ammonimenti, le associazioni di partito, i militanti, i servizi di sicurezza dello Stato.
In una democrazia ideale, dove ogni cittadino rispetta le opinioni degli altri ed è pronto a dare la vita, come disse Voltaire, affinché il suo avversario sia libero di esprimersi, ogni elettore dovrebbe poter votare alla luce del sole senza temere alcuna intimidazione. Ma anche nelle migliori democrazie vi è chi cerca di comperare voti o esercitare pressioni sugli elettori. Accadeva nell’Italia giolittiana. Accade anche oggi, soprattutto in alcune regioni italiane. Se il voto fosse palese, il manipolatore delle elezioni sarebbe libero di controllare l’obbedienza dei suoi clienti e il sistema diverrebbe ancora più efficace. Non dovremmo dimenticare poi l’esistenza di persone che, per naturale timidezza e ritrosia, non vogliono essere coinvolte in conversazioni politiche, spesso destinate a creare contrasti e inimicizie. Perché non dovremmo rispettare il loro desiderio di riservatezza?
Aggiungo che ho intravisto nella sua lettera, caro Mortoni, una tendenza che si sta diffondendo ovunque ma soprattutto in Italia: la convinzione che la democrazia esiga una pubblicità totale. Dovremmo conoscere i redditi di tutti i cittadini. Dovremmo consentire ai magistrati di intercettare liberamente ogni persona su cui possa sorgere il benché minimo sospetto. Dovremmo entrare liberamente nella vita privata di tutti coloro che hanno un profilo pubblico. Dovremmo denudare di fronte a una telecamera i passeggeri di un aeroporto. La sfera della riservatezza si sta pericolosamente restringendo. Mi chiedo quali siano i sentimenti dell’uomo, Stefano Rodotà, che con la sua legge sulla privacy cercò di salvare gli italiani da questo eccesso di trasparenza.
Sergio Romano