Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 31/3/2010;, 31 marzo 2010
IL FATTO DI IERI - 31 MARZO 1962
Il pellicano de ”L’Amaro 18 Isolabella”, le fanciulle vagamente marziali della ”Birra Pedavena” e del ”Tamarindo Erba”, le ”Signorine Grandi Firme”, moderne e sportive, della neonata Rinascente. Esemplari di un’archeologia pubblicitaria sublime, firmata Marcello Dudovich, cartellonista genio dei primi cinquant’anni del Novecento, quando gli spot sui muri si chiamavano réclame e i manifesti erano arte d’avanguardia, pittura, poesia. A 52 anni esatti dalla sua morte, ricordare Dudovich significa rileggere un pezzo di storia dell’advertising di casa nostra, scorrere per immagini modelli e stili di vita di un’Italia in transito verso il primo consumismo di massa. Con qualche nostalgia per il linguaggio grafico luminoso, elegante, fresco di tono del maestro triestino, capace di vagare dai canoni liberty stile Belle poque a un design geometrico postmoderno. In un Paese senza tv e senza consigli per gli acquisti, le affiches di Dudovich, simbolo di una raffinatezza perduta, resteranno memorabili. Come il boudoir malizioso ammiccante un Borsalino, gli sfondi rosso fuoco inneggianti al Campari, le silohuettes sensuali tratteggiate per la moda-novità dei celebri Magazzini Mele. Poster nel segno dell’arte.