RENZO GUOLO, la Repubblica 30/3/2010 - FRANCESCA SFORZA, La Stampa 30/3/2010 - F.DR. Corriere della Sera, 30/3/2010, 30 marzo 2010
TRE ARTICOLI SULLE KAMIKAZE CECENE
COLMANO I VUOTI LASCIATI DAI MARITI - Le attentatrici che si sono fatte esplodere lungo la Sokolniceskaja, si affiancano alla lunga lista di "sorelle" che, in passato, si sono "sacrificate" nel jihad ceceno. Una presenza, quella delle "fidanzate di Allah", che si materializza durante il drammatico sequestro nel teatro Dubrovka nel 2002. Indossano cinture esplosive e sono pronte a immolarsi, in un enorme rogo sacrificale, all´ordine del leader del commando Movsar Barayev. Non ci riusciranno: il gas iniettato dalle forze di sicurezza russe le paralizzerà prima che possano agire; consentendo al gruppo speciale Alfa di freddarle con un colpo alla testa. I loro corpi, avvolti in scuri veli diventati sudari e reclinati sulle poltrone rosse di una platea ormai desolantemente vuota, sembreranno immersi nel sonno improvviso che sorprende le donne dopo le mille fatiche quotidiane. Un sonno da cui non si risveglieranno più.
Dopo Dubrovka, le vestali del martirio torneranno nuovamente in scena, tra il 2002 e il 2004, alla stazione del metrò Rizhskaia , a Tushino durante un concerto rock; ancora a Mosca nei pressi della Duma; nei cieli di Tula e Rostov. Nessuno rivendicherà mai i loro corpi. Non è necessario: secondo la credenza collegata al "martirio", il loro posto è in Paradiso; inoltre si evita così di fornire preziose indicazioni al Nemico sui clan familiari coinvolti. In realtà la "sepoltura assente" non desta troppi patemi: lo smembramento del corpo femminile nel jihad è destinato, innanzitutto, a ricomporre il corpo sociale maschile, mutilato dalla guerra. Le donne con la cintura al plastico colmano i vuoti tra le fila dei mujahiddin, decimati da un conflitto in cui , come ricorda la distruzione di Grozny o le stragi compiute dagli islamisti radicali o dalle bande dei signori della guerra, la vita vale meno che niente. Ma non si tratta solo di strategie belliche. Le donne impiegate nelle "operazioni di martirio" sono prevalentemente mogli, fidanzate, sorelle di attentatori o caduti in combattimento, "sacrificabili" perché la loro vita, in un organizzazione sociale permeata da rapporti tradizionali, è ritenuta priva di senso fuori dalla relazione subalterna con i maschi di famiglia. Se i loro figli sono nell´età, assai precoce, in cui possono combattere o cavarsela da soli, nemmeno le madri hanno più una funzione; se per lavare l´onta all´onore familiare inflitta dal Nemico non è possibile impiegare altri maschi, impegnati altrove nel "sentiero sulla via di Dio", possono scendere in campo fidanzate, figlie e sorelle. Del resto, ai piedi della Montagna di Babele luogo, oltre che di molti popoli, di molte lingue, la parola tra uomo e donna è spesso un ordine.
Ma anche in quel contesto il passaggio dal ricorrente jihad locale, che riemerge ciclicamente sin dai tempi della rivolta nella Russia zarista dell´Imam Samil, a quello globale , può mutare lentamente la situazione. Dokka Umarov, leader dell´autoproclamato Emirato del Caucaso, che nell´immaginario geopolitico della Mezzaluna radicale comprende Cecenia, anche Inguscezia, Daghestan, Ossezia del Nord, oltre che realtà territoriali più piccole, ha annunciato il passaggio dalla rivendicazione indipendentista cecena alla creazione di uno Stato islamico. Collocata da Putin, dopo l´11 settembre, nel fronte della guerra al terrore, quella caucasica assume, così, la dimensione della profezia che si autovvera. Ora Umarov, che un tempo si dichiarava tradizionalista e non "wahabita", ovvero, nell´accezione corrente, un salafita con simpatie qaediste, afferma che il Nemico non è solo la Russia ma anche Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele; e più il jihad caucasico esce, anche solo propagandisticamente, dalla dimensione del conflitto locale , più è probabile che le donne diventino protagoniste del conflitto. La violenza globale produce secolarizzazione, anche nel jihad di genere. Non è casuale che cresca l´arruolamento femminile nelle brigate "martiri" Riyad-us-Saliheen , ricreate da Umarov dopo la morte di Basayev e che l´organizzazione delle vedove mujaheddin sostenga la linea dell´Emiro. Imboccando, così, la strada di un´eguaglianza nella morte, e nel dare morte, che mai potrà colmare le asimmetrie nei rapporti tra uomo e donna.
Renzo Guolo
VEDOVE NERE NELLE MANI DI AL QAEDA -
La prima terrorista cecena che si è fatta saltare in aria aveva diciassette anni, si chiamava Hava Baraeva, era il 2000. «Sorelle, è giunto il nostro momento! - gridava nel video che lasciò a testimonianza del suo gesto - Dopo che i nemici hanno ucciso quasi tutti i nostri uomini, i nostri fratelli e mariti, solo a noi rimane il compito di vendicarli. Allah Akhbar». Ce ne saranno altre, e le loro storie sono state raccolte una dopo l’altra da Julija Juzik, giornalista russa che per un anno ha battuto gli sperduti villaggi della Cecenia nel tentativo di dare una risposta alla domanda: «In nome di che cosa le donne cecene si ammazzano?» (Le fidanzate di Allah, 2004). Ne usciva un quadro composto da donne giovani, a cui la guerra aveva distrutto i legami familiari e a cui non si prospettava nessuna vita alternativa.
Da allora però molte cose sono cambiate in Cecenia, e la riedizione di quel copione non ha più alle spalle, come allora, le rovine di Grozny o la disperazione delle campagne disseminate di mine russe. Oggi la Cecenia, sotto il tallone brutale di Ramzan Kadyrov, è comunque un Paese in cui ha molto più senso vivere che morire. Le violenze continuano, inutile negarlo, ma circolano anche molti soldi, le strade sono state asfaltate, i palazzi ricostruiti, è tornato possibile comprarsi una macchina, aprire un mutuo, mandare i propri figli a scuola, farsi curare in un pronto soccorso. Il controllo del territorio è saldo nelle mani del clan dominante, e tutti gli attentati che negli ultimi mesi hanno continuato a insanguinare il Caucaso portavano di fatto fuori dai confini ceceni: Inguscezia, Daghestan, Cabardino-Balcaria, Carachaevo-Circassia e Adygeya.
Secondo alcuni analisti si tratterebbe degli stessi ribelli ceceni che si sono riorganizzati nei territori confinanti, ma anche se questo fosse vero sono le motivazioni del conflitto a essere cambiate.
Il progetto indipendentista - o secessionista, come preferiscono dire i russi - ha perso qualsiasi presa sulla popolazione, sfiancata da anni di guerre e macerie. Al suo posto è subentrato un progetto terroristico di marca wahabita e qaedista - che in questi anni si è progressivamente saldato con le frange più estremiste del terrorismo locale e con i clan criminali lasciati fuori dalle grandi spartizioni di Kadyrov - e il ritorno sulla scena delle donne kamikaze non fa che confermarlo. Per formare una donna kamikaze sono necessari molti mezzi. E se prima la disperazione della guerra rendeva il reclutamento più facile - che futuro poteva avere una ragazza orfana o vedova, spesso violentata per impedirle qualsiasi ritorno nella comunità d’origine? - oggi l’indottrinamento passa per training molto più impegnativi, e ha a disposizione addestratori sauditi e pakistani, più che locali. il segno che gli estremisti hanno soldi, luoghi in cui operare, strumenti per corrompere, e capacità per organizzare attacchi al femminile, che hanno il pregio di riprodurre vecchi schemi, depistando così dalle nuove insidie.
E’ di qualche giorno fa l’allarme al Congresso Usa dell’ex capo del controterrorismo Richard Clarke: «Gruppi terroristi stanno addestrando donne». Se è la disperazione - più che l’ideologia - il motivo che spinge la maggioranza delle donne a diventare kamikaze, allora bisogna guardare verso quei luoghi in cui la disperazione cecena si è rovesciata, stringendovi pericolose alleanze.
Francesca Sforza
VEDOVE, FIGLIE, SORELLE DI GUERRIGLIERI UCCISI: COSTO 10MILA DOLLARI – Di una delle due donne che hanno colpito le stazioni di Mosca sappiamo che aveva gli occhi marroni e che la sua età era di 18-20 anni.
L’ennesima ragazzina omadre di famiglia, disponibile a sacrificare la vita per uccidere il maggior numero possibile di cittadini innocenti. «Ne abbiamo venti che aspettano di andare in missione», aveva annunciato trionfante nell’agosto scorso Muslim Gakayev, capo di un gruppo di guerriglieri ceceni. Venti vedove, venti figlie di terroristi uccisi dai russi addestrate, motivate e pronte a tutto.
«Fidanzate di Allah», le aveva definite in un bel libro la giornalista Yuliya Yusik poco dopo che le donne imbottite di esplosivo erano state conosciute in tutto il mondo per la vicenda del teatro Dubrovka, nel 2002. I guerriglieri ceceni ne avevano utilizzato 19 in quell’occasione. Sedute in mezzo al pubblico, ognuna con la sua cintura, dovevano bloccare qualsiasi ipotesi di intervento delle forze speciali. Invece i russi riempirono il teatro di gas soporifero e poi freddarono tutte le kamikaze con un colpo in fronte.
La shakhidka, come viene chiamata in russo, è un’arma letale e poco costosa. Secondo il calcolo dei servizi segreti, i ceceni non spendono più di diecimila dollari per ogni candidata al martirio. Spiega il quotidiano Gazeta: un minimo di addestramento, il biglietto per farla arrivare a Mosca, l’affitto di un appartamento sicuro. Poi c’è il premio da versare all’accompagnatore e il compenso per la famiglia della kamikaze, fra i tre e i cinque mila dollari.
Il grande debutto alla Dubrovka, poi una scia di sangue nel Caucaso e aMosca. L’attentato durante il festival rock nel 2003, con 15 morti; le esplosioni che fecero cadere due aerei con 90 persone a bordo nell’agosto dell’anno seguente; i due attentati alla metropolitana del 2004 con 10 e 40 morti, solo per citare gli episodi più eclatanti.
Ma chi sono queste aspiranti sucide che i ceceni riescono a reclutare? Vedove, sorelle di guerriglieri uccisi, ragazzine. Donne in molti casi ai margini della società, secondo quanto spiegano gli esperti. Ragazze stuprate dai soldati russi o vedove «a carico» dei familiari che in una comunità spesso accecata dal fanatismo religioso vengono considerate «perdute». Una di loro, Zarema Muzhikhoeva, non riuscì a farsi saltare in aria nel 2003 e venne catturata. Raccontò di aver perso il marito durante il bombardamento del suo villaggio e di essere stata quasi costretta a diventare una shakhidka. Il campo di addestramento in Cecenia gestito da alcuni arabi: «Venivamo picchiate, violentate, drogate». Quindi il viaggio per Mosca, la cintura d’esplosivo e la «guida» che la lasciò vicino all’obiettivo: il grande McDonald’s di piazza Pushkin.
F. Dr.