Minxin Pei, L’espresso 25/3/2010, 25 marzo 2010
NON SI TOCCA IL TESORO CINESE
Il detto vuole che bisognerebbe diffidare dai regali offerti dai Greci ("Timeo danaos et dona ferentes"). Ma come comportarsi quando i greci arrivano con il cappello in mano? I cinesi sembrano avere la risposta giusta a questo dilemma: tieni stretto il portafoglio. Perciò quando la Goldman Sachs (sì, proprio quella Goldman Sachs che nel 2001 ha aiutato la Grecia a falsificare il bilancio camuffando il deficit), verso la fine di gennaio di quest’anno, ha cercato di persuadere il governo cinese ad acquistare 25 miliardi di euro in titoli di Stato greci, la Grecia ha ricevuto un cortese ma fermo "No".
Non sarebbe giusto indicare la Grecia come l’unico Paese che di questi tempi si reca in pellegrinaggio a Pechino nella speranza di riuscire a separare i cinesi dai loro 2.400 miliardi di dollari di riserve in valuta estera. Con i governi occidentali che affondano nei bilanci in rosso e con le istituzioni finanziarie che si battono per riconquistare la loro posizione di un tempo, i cinesi, ricchi in contante, sembrano essere i creditori preferiti da tutti. In realtà i greci sono anche entrati in campo con ritardo. Sono gli americani che hanno guidato la carica alla volta di Pechino. Lo zio Sam, per esempio, è fortemente dipendente dalla Cina avendo ricevuto da questa un prestito di circa 800 miliardi di dollari. All’apice della crisi finanziaria erano molti i banchieri di Wall Street che fantasticavano sul fatto che i 300 miliardi di dollari del fondo sovrano cinese, meglio noto come China Investment Company (CIC), sarebbero giunti in loro soccorso. Nel settembre del 2008 la Morgan Stanley era persino riuscita ad attirare il presidente della CIC nel suo quartier generale di New York per negoziare una sostanziosa partecipazione, ma solo per ottenere che questi ne uscisse furibondo una volta scoperto che Morgan Stanley contrattava allo stesso tempo alle sue spalle con una banca giapponese.
L’indecoroso spettacolo degli occidentali - dalla spavalderia degli americani ai greci colpiti dal debito - che implorano i cinesi di salvarli, potrebbe essere un segno del nostro tempo: il potere sismico ondeggia da Ovest a Est, ma rivela anche l’incredibile ingenuità che gli occidentali mostrano nei confronti della Cina e di come il suo governo pensa e agisce. Poiché sembra che la Cina sia un Paese ricco, danno per scontato che questa si assumerà gli stessi rischi degli altri Paesi capitalisti lanciandosi nelle opportunità di profitto.
L’avidità è certamente un peccato che la Cina condivide con gli altri Paesi. Ma l’avidità unita all’inesperienza ha insegnato a Pechino un paio di lezioni costose. Nuova sulla scena degli investimenti globali (dobbiamo ricordarci che non molto tempo fa la Cina aveva poche riserve in valuta estera con le quali investire), la Cina non sapeva un granché quando nel 2007 ha istituito il suo fondo sovrano. I primi tentativi di investimento estero del CIC si sono rivelati disastrosi. Un accordo per investire 3 miliardi di dollari nel capitale privato americano del Blackstone Group, con la mediazione di un ex dirigente finanziario di Hong Kong, è oggi diventato un albatro che volteggia intorno al collo del CIC. In meno di tre anni il pacchetto azionario ha perso la metà del suo valore: oggi in Cina la transazione è da molti derisa come se si fosse trattato dell’acquisto di olio di serpente fabbricato in America. Anche l’investimento della CIC con Morgan Stanley, concluso all’inizio del 2008 in pieno tumulto finanziario a Wall Street, non è andato molto meglio.
Bruciati da questi accordi siglati in fretta, i cinesi sono ora molto più attenti e pignoli nel selezionare gli obiettivi. Le opportunità che derivano dall’indigenza, come l’affare delle obbligazioni greche, sono trattate con scetticismo molto maggiore. Solitamente le suppliche vengono rifiutate. Inoltre gli intrighi politici interni al governo cinese rendono difficile il poter contare su una rapida decisione da parte di Pechino. La Cina è una dittatura senza dittatori reali. Il potere è diffuso e le autorità preposte alle decisioni, specialmente quando si tratta di accordi mastodontici come quello che riguarda i 25 miliardi di euro del debito greco, non si reggono su un singolo individuo o un’agenzia governativa. In questioni di questo peso l’arbitro finale è la commissione permanente dell’ufficio politico (Politburo), una leadership collettiva che crea norme tramite il consenso. Poiché oggi in Cina la miriade di burocrazie governative e le imprese statali competano tra loro per l’accesso ai fondi con cui investire all’estero, è in atto un’amara e fratricida guerra politica che trasforma le potenziali transazioni d’affari in crudi contesti di potere politico. Questa situazione la si può definire controlli e contrappesi senza democrazia.
La perdita di miliardi di dollari dei primi investimenti della Cina in Occidente ha reso i cinesi investitori più piccoli. Se si guarda alle decisioni più recenti sugli investimenti da parte di Pechino, ci si trova davanti ad una strategia piuttosto consistente. Le opportunità più premiate, quelle che tendono ad attrarre i capitali cinesi, si trovano nelle risorse naturali come il petrolio e i minerali. La maggior parte degli accordi di alto profilo della CIC riguardano opportunità simili, come le azioni nella compagnia mineraria Australiana Fortescue e una compagnia di gas naturale kazaka. La Cina investe anche negli indici del mercato azionario e nei fondi comuni di investimento. A causa della sensibilità occidentale nei confronti delle operazioni cinesi, la CIC ormai utilizza come intermediarie - quando si tratta di acquistare partecipazioni da gruppi finanziari occidentali - società di private equity americane. Opportunità come quella delle obbligazioni greche non sembrano tanto attraenti a meno che non siano accompagnate da un incentivo. I notiziari indicano che la Bank of China vorrebbe acquistare una partecipazione nella Banca Nazionale Greca. Atene ha rifiutato l’approccio cinese. Perciò Pechino non ha trovato neanche un incentivo speciale per farle considerare la richiesta di aiuto da parte di Atene.
L’ultimo punto cieco degli occidentali nei confronti della Cina come fonte di assistenza finanziaria è la loro ignoranza sulla realtà economica del Paese. vero che la Cina sta crescendo velocemente e sta diventando la seconda economia più importante del mondo.
Ma è ancora un Paese da reddito medio in via di sviluppo con enormi bisogni ancora non risolti. Pechino ha costruito il suo colossale accumulo di riserve in valuta estera imbrogliando il popolo cinese. Il governo cinese avrebbe dovuto utilizzare il surplus in eccesso per rimediare al degrado ambientale, riparare le reti stracciate della sicurezza sociale e ridurre la crescente disuguaglianza. Un’altra realtà economica dura, ma spesso ignorata, è che la forza finanziaria cinese non è poi tanto forte come la maggior parte degli occidentali crede. Il livello di indebitamento reale in Cina è molto più alto di quanto emerge dai dati ufficiali. Per esempio, i governi locali hanno utilizzato schemi molto più ingegnosi di quanto la Goldman Sachs si sia mai sognata per gonfiare - e nascondere - i debiti. Questi trucchi non risultano e nessuno conosce la loro reale grandezza. Poiché la maggior parte dei fondi raccolti dai governi locali va nel settore immobiliare, nelle infrastrutture ed in altri progetti ad alto rischio, un’esplosione della bolla immobiliare cinese potrebbe scatenare una catena di prestiti morosi in Cina, che imporrebbe a Pechino di finanziare il salvataggio dalla bancarotta.
Al momento la Cina può anche avere la pentola d’oro più grande di tutte. Ma separare i cinesi dal loro oro non è un compito facile, Goldman Sachs o meno. I cinesi sono molto più furbi di quanto pensiamo. E per il loro bene hanno bisogno di stringere questa pentola d’oro il più forte possibile.
traduzione di Alessandra Pugliese