WSJ Magazine, 11 marzo 2010, 11 marzo 2010
”IO E MIUCCIA” INTERVISTA DI ALESSANDRA GALLONI A PATRIZIO BERTELLI
Patrizio Bertelli, l’alto e brizzolato amministratore delegato della casa di moda italiana Prada, è uno che parla forte, e questo pomeriggio le sue urla sono dirette ala catena di negozi Neiman Marcus, basata a Dallas. Bertelli ha appena incontrato Burton Tarsky, il 72enne presidente di Neiman, volato apposta a Milano per appianare le differenze con Bertelli su come la catena mette in vetrina gli abiti, le borse, le scarpe e i profumi di Prada.
’Ho ditto a Tansky: non venire qui a fare il texano con me. Non me ne frega niente del tuo stile alla John Wayne” racconta urlando Bertelli, col suo grosso naso aquilino che spunta dalla montatura nera dei suoi occhiali, mentre aspira ad ogni c pronunciata col suo spiccato accento toscano. (Tansky più tardi descriverà la conversazione come uno scambio ”appassionato” tra due persone che sono ”orgogliose e coinvolte dalle loro aziende”). Come manager di uno dei marchi leader della moda mondiale, Bertelli è ancora infastidito dopo che, alla fine del 2008, i negozi americani hanno tagliato i prezzi per rispondere alla crisi economica. Per liberare i magazzini, Neiman Marcus, Saks ed altre catene hanno fatto sconti anche del 70% sulle borse da 1.500 dollari e sulle scarpe da 750, spaventando le aziende del lusso europeo, che ora temono che i loro clienti non saranno più disposti ad arrivare a certe cifre. Con l’inizio della ripresa, molti manager della moda stanno tentando di controllare meglio le vendite nei negozi, e Bertelli sta affrontado questa sfida con particolare zelo. ”Mi piace Tansky. Il vero problema è che l’America è così fottutamente egocentrica”.
Bertelli, 63 anni, è il cervello dietro a un marchio associato a sua moglie, Miuccia Prada, la stilista di avanguardia che negli anni ha creato un mondo di sensazioni ed emozioni associate a zaini di nylon industriale, gonne a pieghe in stile tappezzeria, vestiti aderenti e scarpe dai tacchi alti e stretti, solo per nominarne qualcuno dei prodotti della casa italiana.
Se Prada è una delle stilisti più influenti del mondo, Bertelli è quello che influenza lei. Fin dal 1977, quando la coppia si è incontrata la prima volta a Milano, Bertelli ha incoraggiato sua moglie a prendersi quei rischi che hanno trasformato l’azienda in un conglomerato globale della moda con vendite da 2,4 miliardi di dollari, quattro marchi – Prada, Miu Miu e le scarp Church e Car Shoe – e 267 negozi da San Francisco a Seoul. Bertelli ha spinto Prada ad aprire il primo negozio monomarca a New York nel 1986. Due anni dopo l’ha convinta a iniziare a disegnare vestiti da donna e, passati altri cinque anni, quelli da uomo. ”Lui è molto più provocatore di me” dice Prada. ”Con lui ti messi sempre in discussione. Noi due abbiamo una piccola regola del tre: se lui dice una cosa per più di tre volte, allora io ci devo pensare. Qualche volta non mi va di ascoltarlo, ma lo faccio”. Adesso, per esempio, lui insiste perché lei faccia più attenzione al marketing che passa dalle celebrità di Hollywood, una strategia che lei, tradizionalmente, ha evitato. ”Lui dice che siamo troppo snob, e non capiamo la cultura pop” spiega Prada, riferendosi a sé stessa e alla sua squadra di creativi. ”Lui è la testa, noi siamo le braccia”.
La coppia Bertelli-Prada è il cuore di un’azienda che è cresciuta vigorosamente nell’ultimo quarto di secolo come una tipica impresa famigliare, con Bertelli che fa il pater familias. Bertelli, Prada e i loro nipoti controllano il 95% del gruppo. Bertelli e Prada sono rispettivamente l’amministratore delegato e il presidente. Lui lavoro al lato economico dell’impresa con la stessa intensità che lei dedica al lato creativo. I dirigenti passati e presenti lo descrivono come un capo infaticabile e carismatico, con una conoscenza intima dell’azienda, dalle cuciture delle tomaie delle scarpe al colore dei muri nei negozi Prada. Ma dicono anche che Bertelli mette bocca su troppe cose. sua l’ultima parola su ogni aspetto dell’azienda, dalle assunzioni a quanta pelle comprare per una linea di borse. Quando un dirigente se ne va – e molti hanno lasciato dopo essersi scontrati con il boss – Bertelli spesso prende la sua posizione a interim. ” la legge della giungla” racconta Gian Giacomo Ferraris, amministratore delegato del gruppo Versace, uno che ha lavorato nel gruppo Prada all’inizio di questo decennio. ”Lui è molto esigente con se stesso, e quindi anche con gli altri. O tu giochi al suo livello o lui ti manda via”.
Bertelli è famoso per il suo carattere, circondato da un po’ di leggenda. ”Gli ho sempre detto: o ti piace questa reputazione o la cambi” dice Prada, che chiama sempre so marito per cognome. Mentre controllava le decorazioni di un negozio Miu Miu a Manhattan, nel 1997, Bertelli se l’è presa con uno specchio e lo ha spaccato. ”Faceva sembrare la gente troppo grassa” ricorda oggi. E si sa che ruppe le luci posteriori di molte auto parcheggiate negli spazi sbagliati del posteggio di Prada. ”Mi sono divertito” racconta Bertelli ridendo.
Questa personalità fuori dal comune si allarga anche a fuori dagli uffici. Gli piacciono le macchie e infatti ne ha otto, incluse molte Porsche. Avido navigatore, che ha fatto gare internazionali negli anni settanta, Bertelli nel 1997 ha comprato una barca da 20 metri; tre anni e 55 milioni di euro dopo la ”Luna Rossa” è entrata nella competizione velistica più importante del mondo, l’America’s Cup, raggiungendo la finale. Lui dice che il suo carattere spesso viene preso come scusa dalla gente che lascia l’azienda dicendo che non può sostenere un ambiente lavorativo che sembra una pntola a pressione. ” vero, mi arrabbio per cose molto banali” dice Bertelli. ”Ma dire che io sono irascibile è spesso un alibi per gente che proprio non ci arriva. Il mio comportamento è sempre corretto, e provo sempre a motivare le persone”.
Il rapporto tra Bertelli e Prada è quello più vulcanico di tutti, e i due sono famosi per le loro liti violente. ”Lavoriamo duro. sempre una relazione intensa, e lavorare con lui ti lascia senza forze. Ma lo ammiro e lo rispetto” dice Prada. ”Qui ogni minuto è una guerra, se vuoi lavorare in questa azienda devi essere allenato”.
Bertelli vuole portare Prada sul mercato. I tentativi precedenti, nel 2001 nel 2002 e nel 2008, sono stati rimandati.
Entrambi sono d’accordo su un punto cruciale: che le esigenze creative e commerciali del marchio devono stare allo stesso livello per permettere all’azienda di essere una vera impresa di successo. In molte case di moda gli stilista fanno fatica a soddisfare le condizioni poste dai manager, che vogliono vestiti che vendano bene o che possano avere determinati prezzi. Gli scontri tra i creativi e i manager hanno portato a celebri esplosioni, come l’addio di Tom Ford a Gucci nel 2004 o l’uscita furiosa di Jil Sander dal marchio omonimo quando Prada lo comprò, nel 1999 (poi Sander tornò, ma Prada ha venduto il marchio lo scorso anno). Sander non ha risposto a ripetute richieste di commento e la sua compagnia omonima ha declinato ogni commento.
’Per me e Miuccia fare prodotti che innovino la moda è ugualmente importanti che fare prodotti che vendano. Se non stiamo vendendo c’è qualcosa che non fa. Questa è la nostra filosofia fondamentale” dice Bertelli. ”I soldi non sono il nostro obiettivo, ma ho sempre detto che per fare funzionare tutto questo dobbiamo vendere, ed io e Bertelli la pensiamo allo stesso modo” aggiunge Prada: ”Lui ha un senso incredibile per quello che funzionerà e quello che non funzionerà. E quando la strategia è giusta vendi un sacco”.
La coppia Bertelli-Prada è così importante per l’azienda che nove anni fa, quando il gruppo si preparava all’entrata in Borsa – con una prima offerta pubblica che poi non c’è stata – i consulenti delle banche hanno messo tra i ”fattori di rischio” per gli investitori l’eventualità che i due decidessero di non lavorare più assieme. ”Non sono manager, sono proprietari e imprenditori” dice Sebastian Suhl, il chief operating officer dell’azienda: ”Loro sono il marchio”.
E così il modo di fare affair in uno dei maggiori gruppi della moda potrebbe presto entrare in tensione se Bertelli e Prada torneranno, come entrambi ammettono di voler fare, a tentare di mettere azioni sul mercato per raccogliere i fondi necessari alla futura crescita. ”Penso che chiunque sarebbe interessato a comprare un’azione di Prada” dice Bertelli. ”Ma per dare al gruppo un futuro reale, il mercato azionario è l’opzione migliore”. Portando tra i soci investitori esterni – sia con un’offerta pubblica che con una vendita priata – potrebbe, per esempio, costringere Bertelli ad assumere nuoi manager esterni che lo aiutino a portare avanti gli affari. ”Dopo una Ipo le cose sarebbero più complicate. E a quel punto verrebbe fuori la questione del management” spiega un banchiere che lavoro con Prada.
Le ambizioni extra-large di Bertelli hanno lasciato l’azienda in necessità di liquidità. Durante la rapida crescita degli anni Novanta, Bertelli – come altri grandi manager del lusso, tipo Bernard Arnault di Louis Vuitton Moët Hennessy – ha speso più di mezzo miliardo di dollari per comprare molte piccole case di moda con l’intenzione di trasformarle in marchi globali. L’acquisto di Jil Sander, Helmut Lang e altre aziende ha portato Prada a mettere assieme più di un miliardo di dollari di debiti alla fine del decennio (su vendite che erano a 1,5 miliardi di dollari), un carico con cui l’azienda non si era mai trovata a che fare.
La coppia è anche un grande investiture immobiliare, spendendo più di 137 milioni di dollari all’anno per aprire nuove boutique e farle disegnare da grandi architetti com Rem Koolaas o il duo svizzero Jacques Herzog e Pierre de Meuron. Bertelli e Prada hanno da poco incaricato Koolhaas di costruire ”Transformer”, uno spazio da esposizioni a Seoul capace di cambiare forma, che ha aperto lo scorso anno. E nei prossimi due anni Bertelli ha in programma di avviare un’altra grossa espansione della rete di vendita: apriranno 30 nuove boutique solo nel 2010, molte di queste negli Stati Uniti. Una strategia mirata in parte a rendere Prada meno dipendente, nelle sue vendite globali, dalle catene commerciali americane.
Bertelli è nato nel 1946 ad Arezzo, nel cuore della Toscana, in un famiglia di grandi avvocati. Da bambino aveva talento per disegnare e dipingere, tuttavia gli insegnanti della sa scuola cattolica castrarono la sua inclinazione creativa costringendo questo bambino mancino a scrivere con la destra. Essere mancini, a quel tempo, era considerata una cosa diabolica. (Bertelli continua a usare la sinistra per disegnare). Il papà di Bertelli morì quando lui aveva sei anni, lasciando sua mamma a dovere manatenere i suoi due figli con lo stipendio di insegnante di liceo. La famiglia non aveva bisogno di niente – c’erano regolari vacanze in barca e settimane bianche, ricorda – ma crescere con un solo genitore ha aiutato Bertelli a sviluppare un senso di indipendenza e di imprenditorialità.
Alla fine degli anni ”60, quando Bertelli era iscritto alla facoltà di ingegneria all’Università di Bologna, tutti gli italiani portavano i jeans Levi’s a zampa d’elefante. Ma le cinture sottili che dovevano essere portate con questi pantaloni erano una cosa di lusso. ”Non potevamo permettercele, così Bertelli decise di farsi le sue” ricorda Carlo Mazzi, uno degli amici di infanzia di Bertelli, che è entrato in azienda cinque anni fa come capo della finanza. Bertelli comprò la pelle e il metallo per fare la fibbia, poi portò tutto dal ciabattino per cucire la cintura. Le spese totali erano il 4% del costo delle cinture dei negozi, e Bertelli vide un’occasione d’oro. Lasciò l’università e si dedicò full-time alla sua azienda di costruzione degli accessori, la Mr Robert (dedicata al suo amico Roberto), e nel decennio successivo la trasformò in una mezza azienda pellettiera basata ad Arezzo. ”I Pellettieri d’Italia” sarà il precursore della moderna Prada SpA.
Bertelli stava mostrando le sue borse a una fiera di Milano, nel 1977, quando incontrò Prada che, a quel tempo, gestiva il negozio di pelletteria aperto nel 1913 da suo nonno a Milano, nella Galleria Vittorio Emanuele. Lei era un’elegante donna della classe alta milanese, che indossava gonne di Yves Saint Laurent, studiava teatro e si intendeva di politica. Lui era un imprenditore toscano col vocione e grandi ambizioni. Lei lo arruolò come uno dei maggiori fornitori di Prada, e un anno dopo i due vivevano assieme nel centro di Milano.
Per anni l’azienda crebbe all’interno dei contorni di una nuova vita familiare. Quando i loro due figli, Lorenzo (oggi 21 anni) e Giulio (diciannovenne), erano bambini, la coppia passava gran parte del suo tempo ad Arezzo. Quando i bambin iniziarono ad andare a scuola, Bertelli e Prada spostarono il quartiere generale del gruppo a Milano. ”La nostra vita era casa e azienda, e questo ha fatto la fortuna dell’impresa” racconta Bertelli. Quando Prada ha aperto il suo negozio in Madison Avenue, a Manhattan nel 1993, la coppia ha portato i piccoli Lorenzo e Giulio al Grand Canyon e a Disneyland. ”Era sconvolgente vedere come erano bene organizzate le cose – racconta Bertelli – dalle linee di collegamento ai pancakes di Mickey Mouse”.
Oggi, Bertelli dice che i suoi figli sono la sua finestra su quello che vogliono i giovani consumatori. ”Devi guardare i giovani, perché se non sei aggiornato col mondo d’oggi, allora è meglio che te ne vada dalla moda”. Entambi i genitori dicono che non hanno mai spinto i loro figli nell’azienda, e che è troppo presto per dire se entreranno nel gruppo. ”Se lo faranno, allora dovranno iniziare dalla fabbrica. come un marinaio che deve conoscere come è fatta la nave” aggiunge Bertelli.
Gli anni novanta hanno trasformato l’impresa da un’azienda di nicchia con 50 milioni di fatturato in un conglomerato industriale del lusso da 1,5 miliardi di dollari. Le folli spese di Prada – in aggiunta a Lang e Sander il gruppo ha anche comprato la Azzedine Alaïa e una quota di Fendi – è motivata da una delle convinzioni chiave di Bertelli: che le case di moda non devono diversificare i loro marchi in maniera indiscriminata, magari lanciando linee secondarie a basso costo. Molte case di moda – da Armani a Versace o Valentino – negli anni hanno iniziato a produrre collezioni low cost per allargare la loro base di pubblico.
’La nostra logica era che noi eravamo cresciuti molto per 10 anni, e volevamo diversificare, ma senza comprare hotel o vini” spiega Bertelli. ”Questo potrebbe essere considerato un errore con il senno di poi, ma non era plausibile a quei tempi. Nel 1995 ci chiedevamo tutti come saremmo potuti crescere. Solo dopo abbiamo capito che non era necessario espanderci in marchi nuovi, dato che c’erano così tante opportunità di crescere nei nuovi mercati”.
L’allargamento ha provocato molti problemi, a partire dal gestire gli stilisti. Sander ha litigato con Bertelli praticamente subito dopo essere stato acquistato, e se n’è andato dopo pochi mesi. Poi tornò, ma il marchio faceva fatica a fare soldi. ”Jil Sander era il bambino di Bertelli” racconta Ferraris, ex amministratore delegato del marchio. ”Ma le banche lo hanno costretto a tagliare il ramo secco della compagnia, e quindi ha dovuto ristrutturare Jil Sander per venderlo”. Anche Helmut Lang se ne andrò. Da quel momento Bertelli ha scaricato entrambi e venduto il 5% di Prada a una banca italiana. Due altri tentativi di Ipo sono stati rinviati, e la holding Prada con le sue controllate sono indebitate per 1,51 miliardi di dollari. Ma le banche creditrici hanno esteso la scadenza dei prestiti al 2012, dando ossigeno al gruppo. ”Abbiamo fatto errori. Con Jil Sander e Helmut Lang direi che è stata colpa nostra al 50% e l’altro 50% è stata colpa loro” dice Bertelli, ce aggiunge: ”Ma ci siamo liberati di questi marchi, e le cose vanno bene”. Lang non ha risposto a richieste di commento.
Il giorno dell’incontro tra Bertelli e Neiman era quello della presentazione della collezione autunno-inverno 2010 di Prada. Bertelli si è svegliato ad Arezzo e, dopo una breve colazione nella piazza principale della città, ha preso l’elicottero ed è volato a Milano. Indossava pantaloni grigi di flanella, un lupetto di lana blu e un blazer blu. A pranzo ha mangiato prosciutto, pollo ruspante e bevuto vino rosso in una delle sue trattorie preferite di Milano, dove ha pranzato bene chiacchierando col gestore, lo chef e molti degli avventori.
Quando Bertelli è arrivato alla showroom, i macchinisti facevano le prove nella sala dove Prada avrebbe presentato i suoi show. Questa volta la passerella era stata organizzata come una ”Prada City”, uno spazio con bar astratti, piazze, parche e teatri creati da Alexander Reichert, architetto dello studio di Rem Koolhaa. Prada, vestita con una lunga gonna blu, calze borchiate che arrivano al ginocchio e tacchi vertiginosi, è dietro le quinte, dando le ultime sistemate alla collezione. Lorenzo e Giulio indossano jeans Prada per l’occasione, girando nel corridoio con Marina, la sorella di Miuccia.
Come fa sempre, Bertelli ha guardato lo spettacolo dalla stanza in cui gli ingegneri controllano il sistema audio e le luci. ”La vita di città è il tema del momento. tutto sulle 24-0re, il vivere a 360 gradi” spiega Bertelli, entrando nel set televisivo, guardando i modelli di Prada – uomini accompagnati da donne – vestiti con pantaloni a vita alta, impermeabili mimetici e mocassini a nappe. ”Mi fa pensare: come tuteli l’intimità in un mondo del genere?” mormora, prima di lanciarsi in un soliloquio su quanto siano cambiati i piedi delle donne nel corso dei secoli. Con la fine dello show, Bertelli è andato dietro la quinte per salutare sua moglie, che gli si butta addosso, baciandogli le guance. ”Ti è piaciuta? Hai visto come ho reintrodotto piccoli impermeabili?”. ”Sì, mi è piaciuta. Ho pensato a questa città da vivere 24 ore. come la negazione della privacy e della sfera intima, no?”. Lei lo guarda con occhi interrogativi e sbotta: ”Non fare il filosofo con me, adesso”, ride, andando a ricevere i giornalisti e gli amici.
Quando Bertelli è rientrato a casa dopo lo spettacolo, Giulio e Lorenzo erano buttati sul divano a guardare il calcio in televisione. Un enorme pupazzo di cane è davanti alla televisione. ”Era di Giulio quando era piccolo, non siamo mai riusciti a liberarcene” sorride Bertelli.
L’appartamento di Prada e Bertelli, al piano terra di un palazzo con un grande giardino nel centro di Milano, è spazioso ma accogliente. Un corridoio di marmo verde conduce a una grande veranda che fa da salotto, una sala da pranzo – che quella sera è stata preparata per ospitare 15 persone – e uno spazio artistico con i lavori di Damien Hirst, Lucio Fontana, il pittore astratt tedesco Blinky Palermo ed altri. Una libreria di acciaio riempita con 8mila libri sull’architettura, l’arte e il design copre tutta la lunghezza di una stanza adiacente. La passiona di Bertelli e Prada per l’arte moderna e contemporanea ha inizio nel 1993, quando la coppia è volata in new Mexico col critico d’arte Germano Celant per vedere ”The Lighting Field”, installazione di 400 pali in acciaio inossidabile creata dallo scultore americano Walter de Maria. La Fondazione Prada, creata nel 1993 per ospitare artisti affermati ed emergenti come Anish Kapoor e nathalie Djurberg, e che adesso è condotta da Celant, è uno degli spazi più importanti per l’arte contemporanea in Italia. ”Miuccia e Bertelli sono entrambi molti appassionati all’arte”, spiega Hans Ulrich brist, direttore dei progetti internazionali alla Serpentine Gallery londinese. ”La Fondazione non ha solo esibizioni, ma permette agli artisti di produrre progetti che altrimenti non sarebbe potuti essere realizzati”.
Bertelli e i suoi figli sono ancora a guardare la televisione quando Prada entra e si butta sul divano, slegando gli straps delle scarpe. ”Un pomeriggio molto glamour, no?” scherza.
’Mamma è stato un grande show” esclama Lorenzo, dinoccolato e bruno studente di filosofia. ”Mi è piaciuto il fatto che le donne accompagnassero gli uomini”. ”In realtà era una collezione da donne adattata agli uomini, ma non dovrei dirlo troppo forte perché sennò la gente inizierà a fare critiche” ride Prada, masticando una fetta di pane col salame che un cameriere le ha portato in salotto.
Bertelli spesso è in Toscana o in visita nei negozi Prada in giro per il mondo, ma quando la coppia è a Milano i due spendono la maggior parte dei pomeriggi a casa con i figli o un piccolo gruppo di amici, un insieme di studiosi, artisti e amici d’infanzia che include un dottore di Milano che è uno dei migliori amici di Prada. Quella sera Bertelli e Prada sedevano assieme a capotavola di un lungo tavolo ovale, chiacchierando con gli ospiti. Sul menu c’era pasta con gli spinaci, polpette, zuppa di spinaci, puree, un dessert alla crema e una torta di cioccolata col vino rosso.
Il cibo per Bertelli è una questione seria. un avido cuoco lui stesso (la mattina aveva passato 20 minuti a spiegare a un dirigente Prada come cucinare un fagiano al tartufo) e un grande amante dei ristoranti. Bertelli ha una dozzina di numeri dei suoi ristoranti milanesi preferiti nella rubrica del telefonino, incluso quello di Nobu, controllato da Armani, e il classico bistrot Bice. Prenota lui stesso, sicuro di avere sempre il tavolo migliore che, a Milano, è spesso quello vicino alla cucina.
Alla seconda portata, Bertelli vira la conversazione sul tema Internet. Poche settimana fa, un giornale americano ha scritto un articolo per dire che la strategia Web di Prada era pesante rispetto a quella di altri marchi, come gli inglesi di Burberry, che hanno una pagina su Facebook dove incoraggiano i clienti a mandare le loro foto con i cappotti dell’azienda. Prada è stata una delle ultime grandi case di moda ad abbracciare il Web, aspettando fino alla fine del 2007 per creare un sito di e-commerce. Oggi i clienti possono andare sul sito per comprare gli accessori, trovare le informazioni e vedere le campagne pubblicitarie. E la presentazione della nuova collezione è stata trasmessa in diretta sul canale Youtube di Prada. Tuttavia quell’articolo di giornale ha chiaramente toccato un testo dolente.
’Penso siano stupidaggini. Perchè mostrare la foto di qualcuno che indossa un impermeabile vorrebbe dire essere aperti al mondo? Cosa c’entra tutto questo?” mormora Prada, mentre Bertelli riempie ricchi piatti di spinaci sui piatti dei suoi vicini di tavola.
Bertelli ha chiesto a Prada di relazionarsi meglio online con i blogger e con i suoi tanti fan. E a tavola chiede agli ospiti di ascoltare, mettendo Prada al centro dell’attenzione: ”Lasciate che vi chieda una cosa: è più democratico non rispondere affatto alle domande della gente su Internet? – Bertelli urla, perché gli ospiti smettano di chiacchierare e ascoltino – o è più democratico rispondere a tutti, anche se non sarà una risposta esauriente?”
Francesco Vezzoli, artista italiano che è un buon amico di Prada ed è seduto alla sua sinistra, suggerisce che la stilista abbia poca scelta: ”Tu sei una stella, e le star stanno su Twitter”.
’Bene, e se fra qualche anno scopriamo che Twitter è un’idiozia? Forse fra qualche anno ci accorgeremo che ci eravamo tutti sbagliati” risponde Prada.
Raccoglie una polpetta con la forchetta, si toglie una scarpa e posa il piede sulla sedia: ”Non è che io non voglia andare su Internet, ma non voglio dare risposte a caso, lì. In questo caso preferirei non rispondere affatto” continua Prada, che poi si gira verso Bertelli: ”Vorrei vedere te, alzarsi la mattina e rispondere alle domande su Internet. Perché non lo fai?”.
’Non capisci, eh?” replica Bertelli, ”la comunicazione si muove rapidamente, e la comunicazione rapida compromette la qualità. inevitabile, e devi accettarlo”.
Prada si scalda: ”Non trattarmi come un’imbecille!”
’Non lo sto facendo, hai finite di urlare? – tuona Bertelli, che poi fa ridere gli ospiti: ”E io sarei quello irascibile?”.
Il pomeriggio successivo, Bertelli siede in una sala conferenza tutta bianca di fianco al suo ufficio, una stanza spaziosa con enormi finestre e tre piccoli divani di pelle, una grande tela di Alberto Burri e "High-tech Baby", una scultura dell’artista coreano-americano Nam June Paik, composta di 14 televisori. Sono passate molte ore dall’incontro con Neiman, e Bertelli si è molto tranquillizzato sulla questione delle catene americane.
La sua mente è di nuovo alla discussione della sera prima sul ruolo di Internet. "Internet è democratica, quindi non puoi risponderle in modo elitario. Miuccia fa sempre la moralista su queste cose – spiega lui – io non sono più moderno di lei. Lei è istintiva, mentre io ho una testa più razionale e un modo di pensare più metodico. Comunque arriviamo quasi sempre alle stesse conclusioni”.
Un altro dilemma che occupa la testa di Bertelli in questo periodo è l’incessante pressione sulle case di moda europee per abbassare i costi, un tema che include la ricerca di mercati esteri dove fare la produzione. Negli ultimi anni, molti marchi di alta moda, dall’italiana Valentino al francese Céline, sono andati a fare alcuni dei loro abiti o delle loro borse nell’est Europa, nel Nord Africa o in Asia, dove i costi del lavoro sono molto più bassi che nell’Europa occidentale. Molte aziende sono state reticenti su questo argomento, temendo che senza il marchio ”made in Italy” – e i secoli di storia di artigiani che questa frase implica – i consumatori sarebbero stati meno disposti a pagare prezzi esorbitanti.
Mentre il marchio Prada è al 98% made in italy, metà delle borse Miu Miu sono realizzate in Turchia e Romania, e il 70% della linea di scarpe sportive Linea Rossa è prodotto in Vietnam. Le radici di Bertelli si inseriscono nelle viscere di una terra di artigiani italiani, e Prada ha 13 stabilimenti con 3.500 dipendenti in patria. Ma Bertelli non ha nessuna voglia di scusarsi per l’essere andato a realizzare un po’ di prodotti all’estero, almeno finché ci sono controlli di qualità. convinto che i consumatori dovrebbero imparare a fidarsi del marchio, senza preoccuparsi di dove sia stato costruito un abito. E che il marchio ”made in Prada” può generare lo stesso senso di fiducia del ”made in Italy”.
un’affermazione controversa in un paese che sta faticando a proteggere la sua industria tessile, una volta fiorente, dalla concorrenza a basso costo dei cinesi. ”Se un prodotto non è fatto in Italia non significa che è fatto male, dire una cosa del genere è qualcosa ai limiti del razzismo” dice Bertelli. Il vero problema, spiega, è che dal momento che ogni nazione ha regole differenti su come etichettare i suoi prodotti – ad esempio gli Stati Uniti e il Giappone hanno regole molto più severe rispetto all’Europa – molte aziende attaccano ai capi ”made in” differenti a seconda di dove devono vendere”.
’Ma sono tutte stupidate. Se un prodotto è fatto in Italia, allora ci mettiamo l’etichetta ”made in Italy”, se è fatto in Cina allora mettiamo il ”made in China”, e facciamo così con la Turchia e via dicendo. Altri non sono così onesti, ma vedi, io e Miuccia non abbiamo mai considerato i clienti degli idioti”.
Dopo 36 ore a Milano, Bertelli è pronto a tornare ad Arezzo. Quella notte ha mangiato in un altro dei suoi ristoranti preferiti, Masuelli, dove ha ordinato risotto allo zafferano direttamente al cuoco in cucina. Bertelli è uno che chiacchiera, ma quando si tratta di rispondere a domande sulla sua vita privata con Prada diventa timido. ”Ci equivaliamo. Forse io sono un po’ più curioso sulla storia. Miuccia è forte, ma anche molto dolce.”
Sorseggia il suo bicchiere di vino.
’Io e Miuccia abbiamo vissuto molto intensamente gli ultimi trent’anni, anche se ci sono state delle litigate. Vivere, lavorare e creare una famiglia, fare tutto questo insieme è stato un grande esercizio umano”.