Giorgio Gandola, Panorama 18/03/2010, 18 marzo 2010
L’ULTIMA SFIDA DEL MEDICO DI DIO
Un giorno non lontano, come richiamato da una voce interiore, si diresse verso la cappella. Era particolarmente provato dagli anni, dagli impegni e dallo stress. E, inginocchiato davanti al crocifisso, osò dire: «Ora basta Signore, non ti sono più utile. Lasciami andare in pace, sono vecchio». La risposta, ricorda don Verzè, arrivò tagliente: «Comportati da ventenne, il Tempo è mio».
Ligio al dovere e a quell’imperativo in arrivo da lassù, domenica 14 marzo il medico-sacerdote che fondò il San Raffaele compie novant’anni. E lo fa da giovanissimo. Si prepara a festeggiarli come un instancabile viaggiatore che al culmine del suo cammino si ferma e si volta per guardare tutti coloro che lo hanno accompagnato. Da don Calabria al cardinale Schuster, da Montini a Togliatti, da Madre Teresa di Calcutta a Fidel Castro, da Gheddafi al cardinale Martini, da Berlusconi a Di Pietro, da Wojtyla a Rosy Bindi. Ha attraversato il Novecento come un treno in corsa, è arrivato al 2010 senza mai frenare, ha costruito ospedali e centri di ricerca scientifica in tutto il mondo.
E dire che, dopo il secondo infarto, aveva promesso a se stesso: «Sostituirò la stagione del fare con quella del meditare». Impossibile. A meno che per lui meditare significhi fermarsi per qualche minuto ad accarezzare il suo cane dalmata di nome Samuel. E a raccontare i suoi pensieri a voce alta nel salone della cascina lombarda che ha fatto riattare di fianco al suo primo San Raffaele, dove Milano diventa una tangenziale. E dove il 16 giugno 1961 vide due anatre prendere il volo da quella che era una enorme risaia. E decise che il posto del destino sarebbe stato lì.
Don Luigi, i 90 anni sono un traguardo o solo una torta con tante candeline?
Nessun limite, nessun traguardo. Io credo fortemente nella Divina provvidenza e nei suoi disegni. Se non fosse così, non potrei neppure spiegare me stesso. Ogni giorno è un punto di partenza. Figuriamoci a 90 anni, con il tempo che passa più in fretta. Per questo sto lavorando a un progetto, a Verona, nella mia terra natale, che dovrebbe insegnare all’uomo come campare 120 anni sano nella mente, nel fisico e nell’anima. Con le scienze neurocognitive, che al San Raffaele stiamo approfondendo, ci possiamo arrivare. Bisogna saper coniugare la meraviglia dell’apparato cerebrale con la magia della nostra conoscenza di Dio, che non per nulla ci ha creati a sua immagine e somiglianza.
Non le sembra d’essere troppo ottimista?
Adamo visse fino a 900 anni, Matusalemme arrivò a 970 probabilmente perché aveva meno preoccupazioni di colui che aveva commesso il peccato originale. Centoventi anni dobbiamo riuscire a raggiungerli. Anche perché, dopo una certa età, si è più liberi di ascoltare la voce del Creatore. Io fra poco andrò ad ascoltarla nella cupola in cima al San Raffaele. Faccio trasferire lì l’ufficio. Si vedono il Monte Bianco, il Monte Rosa e la Madonnina del Duomo. Comincerò ad abituarmi a vivere in cielo.
Sacerdote, medico, manager con un presidente del consiglio d’amministrazione che ha creato il cielo, la terra e i suoi abitanti: don Luigi, è soddisfatto della sua vita?
Sono contento d’essere sacerdote. Non vescovo o arcivescovo o cardinale. Sono contento che il San Raffaele nel mondo sia sinonimo di ricerca e di assistenza di alto livello. Ho conosciuto Madre Teresa a Calcutta in uno scenario di apocalittica miseria. Mi prese le mani e sussurrò: venga qui a costruire un San Raffaele. Ne abbiamo realizzati due. Ho una venerazione per Madre Teresa, ma la sua non è stata la mia via: non basta l’elemosina, non basta neppure il supremo sacrificio personale. Per gli ammalati letti d’oro e mani d’oro, quelle dei medici e degli infermieri che trattano i pazienti con grande umanità sino a guarirli.
Fra tutti coloro che le faranno gli auguri nella festa di compleanno con Silvio Berlusconi e il cardinale Carlo Maria Martini, c’è qualcuno che vorrebbe accanto e non c’è più?
Giovanni Paolo II sarebbe il regalo più grande. Ma ce l’ho sempre vicino. Lui ispirò la costruzione dell’ospedale di Roma quando disse: il futuro del Cristianesimo è nella sanità. Poi l’avventura andò male, l’allora ministro della Salute Rosy Bindi mi bloccò. Il Papa si addolorò, non si capacitava e mi ripeteva: c’è posto per tutti. Gli ho assegnato un compito: vedo un bambino malato di cancro che grida «Papa, guariscimi!». Ci siamo vicini. Presto di questo sogno e del resto parleranno tutti i giornali del mondo. Ma per ora, sull’argomento, non voglio dire di più.
In un suo libro, lei scrisse dieci pensieri per il prossimo Papa. In Joseph Ratzinger vede la nuova Chiesa?
L’ho molto apprezzato quando ha detto: «Non so perché il Signore ha scelto me». Un atto di umiltà di grande valore. Ha in sé la dottrina e il modo di presentarla. Certo, il papa che arriva dopo Karol Wojtyla si assume un bell’impegno. Nel Novecento la Chiesa ha avuto grandi papi: Giovanni XXIII fu rivoluzionario, Papa Luciani diede una grande indicazione. Martini sarebbe stato il mio papa preferito e lui lo sa. Ma forse sarebbe arrivato troppo presto. Prima del conclave gli dissi: accetti. E lui rispose: non posso.
L’uomo, il cittadino, l’elettore creano, soffrono, sognano. E in Italia sono sempre più lontani dalla politica. Perché la politica non li rappresenta più.
Non ci si può dedicare alla politica improvvisando. Servono anni e anni di cultura. Il più grande politico della storia fu Pericle, un aristocratico che visse in un ambiente di grande cultura. Oggi, a parte Silvio Berlusconi, vedo sulla breccia gente istintiva e improvvisata. Alcuni mossi da grande ansietà di fare, ma questo da solo non basta. Il premier desidera il bene per tutti gli italiani prescindendo da ideologie radicali. Un valido programma. Certo non è un santo.
Era meglio la politica della Prima repubblica con i minuetti del pentapartito?
Proprio no, la vita mi ha insegnato che il passatismo non ha senso. Il meglio non è dietro di noi ma davanti. L’Italia cammina veloce e nelle università incontro giovani preparatissimi. Io alla loro età non ero così bravo. Loro sono un ammonimento per tutti noi e dobbiamo rassicurarli: ciò in cui credono dovrà essere realizzabile. La politica va insegnata e noi vogliamo farlo: spero molto nel ritorno di Massimo Cacciari nella facoltà di filosofia dell’Università del San Raffaele. Lo abbiamo perso per cinque anni, vittima di un impulso e dell’amore per Venezia. Ha voluto rifare il sindaco. Io gli dissi: perdi te stesso. Oggi ammette: avevi ragione.
L’Europa vuole laicizzare i popoli: il braccio di ferro sul crocifisso lo conferma.
Ma non ce la farà perché le radici dei popoli non sono sulle scrivanie del potere, ma sono dentro la terra, concimate da secoli di storia. E Cristo è una realtà, non solo un simbolo, anche se si tratta del simbolo più alto e potente che l’umanità abbia conosciuto.
A 90 anni di solito si pensa all’eredità. A chi lascerà il San Raffaele?
Il futuro dell’opera è affidato ai Sigilli, i miei collaboratori più vicini che da tanti anni si identificano in ciò che ho scritto. Dite che sono un prete manager. E allora tranquilli: quello che c’è lo lascio in buone mani. Soprattutto in quelle di un amico fraterno, Mario Cal, il «super Sigillo» (vicepresidente della Fondazione San Raffaele, ndr), una copia di me. Un laico, un uomo d’affari, ma libero. Perché la ricchezza del San Raffaele è la libertà. Ogni mattina io lo saluto dicendogli: sia lodato Gesù Cristo, buongiorno. E lui risponde: sempre sia lodato, buongiorno. imbattibile, tranne che a briscola.
Compleanno, giorno di regali: cosa si aspetta?
Sorprese. Ieri è arrivato un sarto di lusso a prendermi le misure: lo ha mandato un amico generoso che vuole farmi fare un abito. Come colore ho scelto il nero. Se viene bene me lo porto nella tomba. Prima o poi.