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 2010  marzo 12 Venerdì calendario

IL MAXXI TESORO? UNA SOTTOMARCA MUSSALE E PURE SCADUTA




L’ultima volta che ho incrociato il presidente della Fondazione Maxxi Pio Baldi con il quale per altro avevo avuto sempre in passato rapporti cordiali se non di amicizia, questi mi incitò polemicamente e sprezzantemente a scrivere articoli ancora più acidi contro la sua istituzione. Uno sguardo critico, preoccupato e allarmato su una situazione e gestione, quella del Maxxi, a mio parere catastrofica, viene tradotto con una sola parola «acidità», alternativamente con «invidia». Infatti, secondo la direzione del nuovo museo per le arti del ventunesimo secolo, il sottoscritto attacca con veemenza il loro operato perché deluso dal fatto di non essere lui a dirigere il transatlantico. Un po’ come il pentito Marino nei confronti di Adriano Sofri.
Altri neodirigenti, sempre del Maxxi, nei salotti romani fanno capire che se continuerò la mia campagna contro quello che dovrebbe essere il più importante museo per l’arte contemporanea in Italia e contro il ministero dei Beni culturali che lo gestisce sarò bandito per sempre da qualsiasi incarico professionale nel campo delle arti. Beati loro che hanno trovato in me la causa dei propri mali. Se bastasse una mia espulsione a vita dalla sistema culturale del nostro paese a far funzionare il Maxxi come si deve, sarei disposto a sacrificarmi più che volentieri. Temo però che l’eliminazione non sarà sufficiente per sanare il marcio che c’e in una istituzione che si comporta come una sottomarca museale.
Intanto ieri è stato presentato il catalogo delle opere nella collezione del Maxxi con tanto di Ministro Bondi a benedire l’evento alla faccia delle contraddizioni. Infatti proprio lo stesso Bondi non meno di un mese fa aveva umiliato la dirigenza della Fondazione nominando Vittorio Sgarbi mastino della collezione, dimostrando quindi di avere grossi dubbi su come questa collezione, definita da Pier Luigi Panza sul Corriere della Sera di mercoledì scorso come «il tesoro del Maxxi», sia stata messa insieme. Sicuramente i fondi (il cui ammontare non sembra essere del tutto chiaro o disponibile al pubblico con troppa facilità) investiti nella collezione sono sufficienti per definire il gruppo delle quasi 300 opere acquisite un tesoro. Qualsiasi museo al mondo avrebbe fatto e farebbe salti mortali per avere a disposizione i milioni di Euro che il Maxxi dal 2002 ha avuto per costruire la propria collezione. Se però un qualsiasi direttore o curatore di un museo internazionale desse un’occhiata alla lista delle opere comprate inorridirebbe. Orrore dovuto sia alla qualità di certe opere sia alla totale casualità degli acquisti. Mi chiedo cosa possa dire davanti alla lista delle opere Carlos Basualdo curatore argentino del museo di Philadelphia, probabile candidato alla direzione della prossima Biennale di Venezia, unica figura professionalmente qualificata e seria a far parte dell’organigramma artistico della Fondazione Maxxi.
Davanti alle mie rimostranze Pio Baldi e la direttrice del Maxxi Anna Mattirolo, che finché avevano svolto il loro mestiere lo avevano fatto in modo eccellente (peccato abbiano scelto di fare un altro lavoro) si appellano allo statuto della fondazione, che per altro è posteriore alla maggioranza degli acquisti. Ma anche se non lo fosse, la cronaca recente ci dimostra pure in altri campi della vita civile che statuti e costitituzioni, leggi e regole servono a poco se sono maneggiate da incompetenti o da competenti poco seri. Per chi non lo sapesse, un’acquisizione del Maxxi funziona cosi: i curatori propongono un’opera, il cda approva o disapprova, il comitato scientifico ratifica l’acquisto, o magari prima è il comitato scientifico che approva e poi il cda ratifica, ma poco cambia. Ma se il Cda è composto da persone che poco o nulla sanno di arte contemporanea, come lo sono Pio Baldi , Stefano Zecchi e Roberto Grossi, come è possibile che valutino adeguatamente le scelte dei curatori? Se poi il comitato scientifico è composto da gente come Peter Greenaway o Patrizia Bruscaroli, la cui co-curatela all’ultimo padiglione per l’arte italiana a Venezia urla ancora vendetta al Dio e al mondo, come è possibile che un’acquisizione venga giudicata secondo criteri e competenze professionalmente adeguate?
Basta dare un occhiata alla lista dettagliata delle opere e si capisce che competenza e professionalità non sono stati i parametri con i quali sono stati compiuti gli acquisti. Certo ci sono quattro bellissime carte del 1971 degli artisti inglesi Gilbert & George (detestati da Sgarbi), ma anche loro con che criterio sono entrate nella collezione che dovrebbe guardare più al 21° secolo che al 20°? C’è un Manzoni del 1960, bellissimo ma anche lui che ci sta a fare? Ed è vero che è stato comprato ad un’asta a Londra e non attraverso la Fondazione Manzoni a Milano dove anche i più importanti musei americani come il Walker Art Center vanno per acquistare opere storiche del maestro Milanese? Ci sono quattro mediocrissimi pastelli dell’artista Americano Ed Ruscha. Accettabili se fossero stati donati, ma invece sono stati pagati probabilmente fior di quattrini. Del più importante artista italiano contemporaneo, Maurizio Cattelan, è stata comprata un’opera minore, Madre, una foto di una sua installazione alla Biennale di venezia del 1999.
Ci sono più opere del necessario di Giuseppe Caccavale, di Elina Brotherus o Manfredi Beninati. Per poi arrivare alla vera pietra dello scandalo, la tela di Andy Warhol del 1977 Hammer and Sickle, un bel quadro ma non certo il capolavoro di Warhol. L’opera è stata pagata sicuramente qualche milione di euro, questo è il valore di Warhol sul mercato. Ma non ha nessun senso all’interno di quel museo o di quella collezione. Un cda e un Comitato Scientifico che funzionano, statuto o non statuto, davanti alla proposta dei curatori di una simile acquisizione avrebbero dovuto sollevare non uno ma mille dubbi. Perché la volete? Quanto la pagate? Dove la comprate? Che senso ha per il Maxxi e il suo futuro? Chi mai farà un viaggio apposta per vedere un’opera del genere in un museo che dal nome dovrebbe offrire il meglio delle nuove generazioni e non il mediocre di quelle passate. Le collezioni dei grandi musei si costruiscono con la qualità delle opere non con una lista di nomi. Una collezione si costruisce con calma, competenza e pazienza, tutte doti che oggi al Maxxi mancano completamente. Acidus in fundis.
di Francesco Bonami, Il Riformista 12/3/2010