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 2010  marzo 11 Giovedì calendario

GARIBALDI MAESTRO DI CHURCHILL

Winston Churchill aveva progettato di scrivere una biografia di Giuseppe Garibaldi, il che non sorprende, dato che (nel 1953) aveva vinto un Nobel per la Letteratura grazie ai suoi scritti storici che tanto dovevano all’ispirazione e all’inventiva militare dell’Eroe dei Due Mondi. Nel 1940, nei giorni bui dopo la sconfitta britannica a Dunkerque, Churchill gli rese omaggio nel suo più ispirato discorso al parlamento e alla nazione, «rubando» le parole che Garibaldi aveva pronunciato nel 1849 davanti al Parlamento della Repubblica romana, quando ai suoi «pochi» 4700 uomini - che avrebbero dovuto fronteggiare gli 86 mila delle forze combinate francesi, spagnole, napoletane, toscane e austriache - disse: «Non ho null’altro da offrirvi se non sangue, fatica, lacrime e sudore».
Da giovane sottotenente del 4° Ussari di stanza a Bangalore, in India, Churchill ebbe modo di trovare, nonostante la pax britannica, quattro guerre da combattere tra il 1897 e il 1901. Questo gli diede un’esperienza militare che non aveva nessun altro ufficiale in Europa. Combatté nella Cuba spagnola «dove 50 cavallerizzi vanno ovunque e due da nessuna parte», con la Malakind Field Force del generale Blood sul fronte afghano, con il generale Kitchener in Sudan nell’ultima grande carica della cavalleria a Omdurman con il Mahdi - il messia musulmano del Jihad - e infine nella guerra boera, dove imparò come si combatte una guerriglia europea.
Queste precoci esperienze fecero di Churchill un grande condottiero, come quelle di Garibaldi ne avevano fatto il comandante in capo sia della Marina sia dell’esercito, in guerra contro Brasile e Argentina per creare uno Stato indipendente uruguaiano. Così Garibaldi nel 1848 arrivò in Italia come esperto militare molto innovativo e i suoi metodi moderni avrebbero confuso il meglio che il Vecchio Continente gli avrebbe gettato addosso. In modo analogo Churchill, in qualità di First Lord dell’Ammiragliato dal 1911 al 1915, rivoluzionò la Marina reale dotandola di una flotta di 400 bombardieri. Poi, come ministro delle Munizioni, sviluppò i carri armati, i cui attacchi concentrati, nel 1918, annientarono l’esercito tedesco in un modo che la Germania non avrebbe mai più dimenticato. Nel 1940 Churchill si ispirò di nuovo a Garibaldi creando il servizio segreto Soe (Special Operations Executive) per «incendiare l’Europa» con i movimenti di resistenza, le forze speciali e quelle terra-mare-cielo. Non ispirò solo i partigiani, dunque, Garibaldi.
Dai tempi delle guerre napoleoniche, le operazioni militari si erano sviluppate in tre fasi, seguendo la trinità descritta dallo stratega prussiano Karl von Clausewitz nel trattato Della guerra: esercito, governo, popolo. Come scrive il generale Sir Rupert Smith in L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, da Napoleone a Bismarck si combatterono «guerre di Stati»: eserciti regolari, battaglie accuratamente programmate, popolazione civile largamente estranea. Come diceva Clausewitz, «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi».
La prima guerra mondiale aprì il secolo delle «guerre tra i popoli»: intere popolazioni civili mobilitate e diventate i bersagli dei bombardamenti, vittoria come distruzione del complesso industriale militare del nemico. Progressivamente, a partire dalla seconda guerra mondiale, abbiamo assistito alla trasmutazione in «guerre in mezzo ai popoli». Qui la linea tra civili e soldati è confusa. L’assalitore è uno che va a fare compere, ma un attimo dopo diventa un bombarolo e poi una forma indistinguibile dagli altri civili. Oppure una bomba umana - di nuovo contro civili. Privo di uniforme, beffa il nemico infrangendo quelle Leggi della Guerra fatte per l’era dei Popoli Armati contro Popoli Armati. Gli assalitori privi di uniforme diventano forze regolari della «guerra criminale».
Se per Clausewitz la guerra è una prova di forza e uno scontro di volontà, allora la guerra industriale è la prima e la «guerra in mezzo ai popoli» è il secondo. L’obiettivo ora non è più stritolare, ma trasformare le menti. Le guerre ora si combattono per il popolo e in mezzo al popolo, e questo popolo è sia il prezzo sia l’obiettivo strategico.
A cambiare il mondo non sono state solo le armi nucleari: l’hanno cambiato anche la democrazia e l’autodeterminazione. Le guerre in mezzo al popolo sono il risultato di un’epoca democratica. Gli Stati moderni esigevano l’obbedienza dei loro popoli. Ora la strategia mira ai cuori e alle menti e dunque occorrono meno carri armati e più antropologi e linguisti. E in questo, che è diventato in ogni senso «un teatro di guerra», gli esperti di media sono della massima importanza.
Garibaldi - vegetariano, astemio, libero pensatore, antirazzista, femminista - era il compendio dell’uomo che si è fatto da sé. Nel 1860 vinse una guerra asimmetrica in Italia perché aveva inventato la guerra moderna - e il mondo è sempre progredito attraverso guerre asimmetriche, usando le tecnologie del nemico per batterlo. Nella straordinaria epopea di poche migliaia di artigiani e studenti che, tra il maggio e l’ottobre 1860, sconfiggono un esercito professionale di 140 mila uomini e una Marina di 50 navi, la vittoria di Garibaldi porta già l’impronta della guerra moderna. Solo a titolo di esempio, utilizzò il telegrafo appena inventato non solo per inviare segnali segreti, ma anche per fare disinformazione. E utilizzò la velocità telegrafica dei media internazionali per criminalizzare i nemici e inventare per sé un culto della personalità e la leggenda dell’eroe invincibile. E questo è solo un assaggio della sua ingegnosità innovativa. Dopo Garibaldi, vincere le guerre non sarebbe mai più stata la stessa cosa.