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 2010  febbraio 23 Martedì calendario

LA PIOVRA NELL’ECONOMIA DEL NORD

Pm: «Lei ha sospetti in ordine a chi può essere stato l’ autore degli attentati che hanno visto coinvolte le sue imprese?». Teste: «No». Pm: «Ha mai affermato in qualche occasione che i Barbaro o i Papalia potessero essere gli autori degli attentati?». Teste: «Non mi ricordo». Sfilano e si defilano. Gli scorsi mesi hanno telefonato, confidato, raccontato; hanno fornito particolari, sospetti e anche qualche indizio; adesso hanno soltanto paura. Infatti si rimangiano le parole e sperano che di loro non si parli più, nonostante il pubblico ministero chieda, e insista. Sono oltre una decina, sono imprenditori. Nelle ultime settimane sono comparsi a Milano nel processo contro le famiglie calabresi dei Barbaro e Papalia che - ha ricostruito l’ inchiesta - nell’ hinterland, con intimidazioni, incendi dolosi e proiettili comandavano e orientavano il mercato degli appalti nel settore dei cantieri e del movimento terra. Vittime, gli imprenditori. Vittime della ’ ndrangheta e di quella criminalità organizzata che nel Nord Italia, soltanto a contare gli immobili certi, cioè quelli confiscati, ha un patrimonio di 142 milioni di euro. I conti li ha fatti l’ Osservatorio socioeconomico sulla criminalità del Cnel (il Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro) nella ricerca sulle infiltrazioni mafiose nell’ economia del Settentrione. una storia di italiani, questa. Agli stranieri, le briciole: i grammi di cocaina per «lo spaccio al minuto». Ripetono fino alla noia certi sindaci di questo hinterland milanese infestato dalle cosche con in prima fila gli spavaldi rampolli di seconde e terze generazioni: «La ’ ndrangheta? Non esiste». Eppure il Cnel chiude la ricerca con il seguente monito: «Non sono più rinviabili provvedimenti come la possibilità di denunce anonime e il monitoraggio della rete dei subappalti». La situazione, dice Marcello Tocco, coordinatore dell’ Osservatorio del Cnel, è «grave e in continuo peggioramento». Si comincia dalla Lombardia. Hinterland milanese In Lombardia «i soldi della droga sono stati reimpiegati nel settore immobiliare e nell’ acquisizione di esercizi commerciali». In luoghi non casuali, ma rispettosi di una precisa e predeterminata geografia. I negozi vanno a nascere «nelle aree di sviluppo urbanistico e industriale ove - si legge nel dossier - le comunità di immigrati hanno talora potuto garantire contatti privilegiati con la pubblica amministrazione». A esempio «i comuni della provincia di Milano, divenuta lo snodo di tutti i traffici illeciti nazionali e la via di accesso a mercati finanziari internazionali». Antonio Nicaso, calabrese, 46 anni, vive in Canada e insegna Storia delle organizzazioni criminali. Con uno dei magistrati anti ’ ndrangheta per eccellenza, Nicola Gratteri, Nicaso ha scritto libri sulle cosche; l’ ultimo si intitola La Malapianta (Mondadori). «La ’ ndrangheta - dice Nicaso - è una delle cinque mafie più forti al mondo. Ed è quella che dà maggiori garanzie. Perché è muta: i pentiti sono una rarità». Una domanda che gira da tempo: Milano e l’ Expo 2015, quali i rischi? Di rischi, spiega Nicaso, ce ne sono ogni giorno. «Cantieri, cooperative, nuove infrastrutture, e poi pranzi e cene tra ’ ndranghetisti e politici, con i primi che "promettono" tot voti in un tot territorio... Si preferisce non vederle, tutte queste cose. Dire che ci sono le organizzazioni criminali, che fanno affari, che si arricchiscono, è una pubblicità negativa. Meglio far finta di niente». Gli inquirenti sono concordi nel ritenere invariato il ruolo delle cosche in realtà dell’ hinterland come Buccinasco, Corsico, Trezzano sul Naviglio, Cesano Boscone. «Edilizia, usura, impossessamento di aziende, truffe, acquisto di immobili. Le principali famiglie malavitose della zona jonica e della zona tirrenica della Calabria sono tutte presenti, nessuna esclusa, nel territorio di Milano». Dal Casinò alla cocaina Molte cosche calabresi. In Piemonte, la Direzione distrettuale antimafia ha censito «25 cosche con circa 400 tra affiliati e fiancheggiatori» e la Guardia di finanza ha appurato come «le cosche si adoperano anche per reati socialmente meno pericolosi, come le truffe, allo scopo di guadagnare denaro con cui finanziare l’ acquisto di droga», per lo più cocaina. Nella vicina Val d’ Aosta, «a destare qualche preoccupazione c’ è il Casinò di Saint Vincent con cambisti che forniscono ai giocatori denaro contante in cambio di assegni, ricavandone un interesse al 10%». E allora, riepilogo: abbiamo visto la ’ ndrangheta in Lombardia, Piemonte e da ultima la Val d’ Aosta. Nell’ Italia Nord-occidentale «si registra con minore frequenza l’ operatività di criminali di estrazione siciliana, pugliese e campana». Presenze «sporadiche». Più numerose le truppe straniere. Il risultato? «Una progressiva sinergia, o se si vuole integrazione, tra la ’ ndrangheta con le emergenti, pericolose mafie estere: albanese, romena e bulgara». Abituata ad arrivare ovunque - prendete l’ Australia, le cosche sono potentissime, e da decenni -, la ’ ndrangheta non si chiude al mondo. Lo attacca. Così in Liguria, la storica base di Ventimiglia mantiene il collegamento con le basi secondarie di Sanremo, Imperia, Genova e Rapallo, e nel contempo emigra con piacere e insistenza in Francia, investendo a «Mentone, Marsiglia, Nizza e Tolosa». Vecchi banditi e nuovi predoni In Veneto, vecchi banditi del posto e immigrati italiani, sul finire degli anni Settanta, si sono alleati per gestire «stupefacenti, prostituzione, gioco d’ azzardo». Nessun litigio, nessuno scontro: piuttosto l’ accordo, la spartizione. In Emilia Romagna consistente è la presenza dei Casalesi e, in Riviera, di altre mafie ancora. Ma c’ è un confine, ci sono paletti, non si entra in conflitto con la ’ ndrangheta. Nelle cosche, fonti investigative sottolineano un recente, violento cambio di marcia: l’ intreccio con la politica, a cominciare dai consigli comunali di provincia. la politica a cercare, inseguire, abbracciare. la pubblica amministrazione a fondersi con gli emissari della ’ ndrangheta. Il Cnel individua nelle carenze di organico e mezzi uno dei punti deboli della difesa, e della risposta, dello Stato: «Le strutture di indagine della polizia e della Direzione investigativa antimafia devono essere potenziate». Sono note, ripetute e inascoltate le richieste di magistrati milanesi costretti a lavorare con eserciti di inquirenti che sono sparuti drappelli. Possono perfino mancare i soldi per la benzina delle auto degli appostamenti. Ha scritto un giudice: «Non deve stupire il fatto che l’ atto intimidatorio delle cosche non raggiunga quella violenza e quel clamore che sovente assume in altre zone del Paese. Alzare eccessivamente il tiro può indurre reazioni forti e - in ultimo - destabilizzanti da parte dello Stato; soprattutto quando certe azioni vengono compiute in territori non adusi a quella presenza criminale. Quindi, meglio fare discretamente presente la propria presenza. Rammentando con atti simbolici ma efficaci che se non vi è accondiscendenza spontanea l’ opzione militare è dietro l’ angolo». Questo giudice è uno dei protagonisti dell’ inchiesta di quegli imprenditori che d’ un colpo, lì in aula - un’ aula a ogni udienza affollata di mogli e figli degli ’ ndranghetisti - hanno dimenticato intimidazioni, incendi dolosi, proiettili. Degli imprenditori, in una telefonata intercettata, uno diceva: «Buttavano bombe a destra e a sinistra... quella gentaglia... vogliono il lavoro con la prepotenza». Andrea Galli