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 2010  febbraio 22 Lunedì calendario

NEPOTISMO, VECCHIA PRASSI NON SEMPRE DA BUTTARE VIA

Vorrei un suo parere sui nepotismi politici. Esistevano anche un tempo? Esempio: chi sarebbero un La Malfa, un Segni, una Mussolini se non portassero questi nomi? Lei pensa che se si fossero chiamati/e Brambilla, Colombo ecc. avrebbero potuto apparire su un giornale o su una tv o addirittura accedere agli scranni di Roma?
Bruno Nunziati
b.nunziati@tele2.it
Caro Nunziati, sto leggendo un libro sulla formazione dei diplomatici e dei politici pubblicato a cura di Arianna Arisi Rota presso l’editore Franco Angeli. una raccolta di saggi in cui alcuni autori, storici e politologi, ricostruiscono l’evoluzione del profilo professionale di due mestieri indissolubilmente collegati alla nascita dello Stato moderno. In un saggio sulla diplomazia che s’intitola «Dalla raccomandazione al concorso», Arianna Arisi Rota cita un passaggio della lettera che il marchese de Rivière, ambasciatore di Luigi XVIII a Costantinopoli, inviò nel 1816 al suo ministro degli Esteri: «Ho qui a Costantinopoli un nipote, persona a modo e ragazzo carino, che parla italiano ed è abbastanza studioso. Se Vostra Eccellenza volesse inserirlo nell’organico dell’ambasciata, gliene sarei molto grato». Il ministro ritenne che la raccomandazione di una persona competente e stimabile come Rivière fosse più che sufficiente e autorizzò l’inquadramento del ragazzo nei ruoli dell’Ambasciata di Francia.
Novant’anni dopo, nel 1906, quando il problema delle mire francesi sul Marocco provocò una crisi internazionale e la convocazione di una conferenza nella città di Algeciras, il governo italiano volle essere rappresentato da Emilio Visconti Venosta, un ex mazziniano che era stato più volte ministro degli Esteri e aveva servito il suo Paese con grande intelligenza soprattutto durante la guerra franco-prussiana del 1870. Il vecchio Visconti Venosta (era nato nel 1829) accettò, ma volle portare con sé, come segretario, suo figlio: una circostanza che fece storcere il naso a uno storico australiano, Richard Bosworth, autore tra l’altro di un libro del 1979 intitolato «Italy the least of the Great Powers. Italian Foreign Policy before World War One» (Italia, la minore della grandi potenze. La politica estera italiana prima della Grande guerra).
Si trattò in ambedue i casi di nepotismo? Certamente. Ma sarà bene ricordare che vi sono occasioni e circostanze in cui la scelta di un uomo o di una donna non dipende soltanto dal loro profilo professionale ma anche dal clima di sintonia, di affinità culturale e di fiducia reciproca che occorre creare sul luogo di lavoro. Vi sono mestieri, come per l’appunto la diplomazia e la politica, in cui questi ingredienti non sono meno importanti di una competenza professionale che dipende comunque, in buona parte, dalla pratica quotidiana. La trasmissione di un mestiere da una generazione all’altra non è soltanto nepotismo. anche il risultato di quella scuola informale che il giovane frequenta quando cresce in una famiglia in cui il padre o lamadre parlano quotidianamente del loro lavoro o invitano nella loro casa persone da cui è possibile imparare molto. Non vorrei essere frainteso. Per le carriere delle pubbliche amministrazioni i concorsi sono necessari e ai governi spetta l’obbligo di garantire a tutti, nella misura del possibile, la parità degli accessi. Ma l’eliminazione di ogni forma di nepotismo è soltanto una inutile utopia. Ancora una osservazione, caro Nunziati. Lei ha citato tre persone (Giorgio La Malfa, Alessandra Mussolini, Mario Segni) che hanno personalmente meritato i galloni della politica. Se avesse citato il giovane Bossi, il suo argomento sarebbe stato più convincente.
Sergio Romano