Tonia Mastrobuoni, Il Riformista 20/2/2010, 20 febbraio 2010
INTERCETTATORI «SULL’ORLO DEL BARATRO»
«Siamo in trincea e rischiamo una pallottola ogni volta che alziamo la testa». un’imprenditore di una delle aziende più importanti che fornisce strutture e servizi per le intercettazioni a riassumere la situazione attuale così. Assieme alle altre quattro che rappresentano i ”big” del settore - Area, Sio, Radio Trevisan, Innova e Rcs - ha fatto un calcolo aggiornato dei debiti pregressi del ministero della Giustizia nei loro confronti: tra 320 e 360 milioni di euro al 31 dicembre del 2009. Solo a quattro di esse (Radio Trevisan esclusa) il dicastero guidato da Angelino Alfano deve oltre 170 milioni di euro.
In questi giorni in cui un collega è assurto alle cronache per aver vinto una clamorosa causa contro lo Stato che lo voleva processare per 3.500 di debiti col fisco mentre gliene deve 8,5 milioni per i servizi resi alle procure, questi imprenditori preferiscono, appunto, la trincea, il silenzio. Nei confronti delle intercettazioni - come dimostra anche la tentazione di Berlusconi di ritirare fuori il provvedimento che le limiterebbe enormemente sull’onda dello scandalo Bertolaso - c’è un’ostilità assolutamente bipartisan.
Una situazione che non è certo migliorata quando si è scoperto che il patron di una di queste imprese aveva girato a Berlusconi le famose intercettazioni su Fassino («abbiamo una banca») tre anni fa, durante la rovente estate di Furbettopoli. In ogni caso, quando le imprese del settore alzano la testa e chiedono che lo Stato onori i debiti nei loro confronti, «becchiamo legnate comunque, sia dai governi di centrodestra sia da quelli di centrosinistra», osserva l’imprenditore che preferisce mantenere l’anominato.
Dando un’occhiata al bilancio del ministero della Giustizia si scopre anzitutto che le cifre che vengono sventolate nel dibattito pubblico a dimostrazione di presunte spese pazze della giustizia sono completamente sballate. Il più recente ”Rapporto sulla spesa pubblica delle amministrazioni centrali”, consultabile su internet, parla di 193 milioni di euro spesi per intercettazioni nel 2008, 208 milioni nel 2007 e 203 milioni nel 2006. E per quest’anno, la finanziaria ha preventivato 180 milioni di euro. Numeri piuttosto lontani dai seicento milioni o dalle cifre miliardarie che qualcuno ogni tanto addossa al settore.
L’anno scorso, dopo una protesta veemente e una prima minaccia di interrompere il servizio delle intercettazioni, queste imprese avevano beneficiato di una transazione di 100 milioni di euro per sanare una parte dell’enorme pregresso. Un’una tantum che Alfano aveva concesso a condizioni piuttosto punitive, per le aziende: la cancellazione del 10 per cento dei debiti del 2008 e degli interessi. Comunque, dopo quella boccata d’aria la situazione ha cominciato di nuovo ad aggravarsi.
Il problema sono d’un lato i ritardi del ministero sui pagamenti, che le imprese del settore quantificano più o meno in 600 giorni, in media. La regola dei 90 giorni per i pagamenti dell’amministrazione pubblica «sono una barzelletta per noi del settore delle intercettazioni» osserva l’imprenditore. Inoltre, lo scorso autunno, racconta, hanno fatto una proposta congiunta al ministero per risolvere uno dei nodi più spinosi della questione.
Il fatto è che nel momento in cui le imprese mandano la fattura alle procure, finisce in una sorta di buco nero. Prima della cosiddetta ”liquidazione” delle fatture da parte dei magistrati, che avvia in teoria il pagamento, può passare un giorno o dieci anni. Le fatture vengono inghiottite dalle procure e non sono rintracciabili per il ministero della Giustizia finché non c’è il ”timbro” del magistrato. Questo significa che il ministero «ha un’idea piuttosto approssimativa di quello che ci deve davvero», spiega l’imprenditore.
Lo scorso novembre le aziende hanno avuto un incontro al ministero di Alfano per denunciare nuovi ritardi abnormi negli incassi e hanno proposto di uniformare e semplificare il percorso di pagamento delle procure. Obiettivo: ottenere in 60 giorni quello che non riescono a ottenere il 600. Ma nei ricordi dell’imprenditore quell’incontro «resta uno dei peggiori di sempre», con il dicastero della Giustizia. Già allora i documenti consegnati parlavano di «un livello di criticità più alto dello scorso anno». Tre mesi dopo, conclude l’imprenditore, «siamo di nuovo sull’orlo del baratro».
Tonia Mastrobuoni, Il Riformista 20/2/2010