Mauro Bottarelli, Il Riformista 20/2/2010, 20 febbraio 2010
SPETTRO DEFAULT IN EUROPA ORA ANCHE IL REGNO UNITO HA PAURA DI SCOPRIRSI ”PIG”
Londra. Da giorni, ormai, l’attenzione di economisti e politici è concentrata sulla Grecia e sul rischio di default sul debito pubblico che sta attanagliando Atene. Seconda grande indiziata è la Spagna, passata da nuovo motore d’Europa a vittima predestinata di conti pubblici fuori controllo e di una bolla immobiliare lungi dall’aver esaurito i suoi effetti nefasti. Questo, almeno, quanto emerge dai resoconti della stampa.
La realtà, vista dalla City, è invece un’altra: la Gran Bretagna, potenzialmente, è messa peggio della Grecia e rischia un default molto serio, con la sterlina destinata a crollare a 0,95 sull’euro entro il prossimo mese di maggio, così almeno pensa il centro studi di Morgan Stanley nel suo ultimo outlook. E se da un lato il fatto di non far parte dell’area euro permette alla Bank of England di svalutare la sterlina in caso di aggravarsi della crisi, i conti pubblici segnano un profondo rosso che il paese non conosceva dal 1993, con le entrate fiscali che nel mese di gennaio hanno presentato dati da pelle d’oca. Non è un caso che nello scorso mese la Gran Bretagna sia stata costretta a prendere a prestito 4,3 miliardi di sterline: dati alla mano ci si trova a fare i conti con un debito pubblico al 12,8 per cento sul Pil, un dato ben peggiore di quello greco.
Ma tutti gli indicatori macro sono negativi, compresi quelli del mercato immobiliare con un crollo dei prestiti per i mutui del 32 per cento: insomma, guai grossi all’orizzonti. Accumulatisi, a dire il vero, da almeno un anno e mezzo, da quando Gordon Brown varò la nuova parola d’ordine del suo esecutivo: ”fare cassa”, ma sbagliò completamente le strategie. Occorreva, infatti, rientrare per quanto possibile dal terribile passivo accumulato con le operazioni di salvataggio prima e stimolo dopo ed evitare la spirale del debito pubblico selvaggio ma, detto fatto, il premier britannico annunciò un piano di cessioni di beni pubblici per 16 miliardi di sterline nel prossimo anno, di cui 3 miliardi (4,8 miliardi di dollari) già contabilizzate, tra le quali la vendita della società di scommesse Tote, la partecipazione del governo nel tunnel ferroviario sulla Manica e sul Tamigi, un portafoglio di prestiti agli studenti e la quota statale del 33% nell’Urenco, la società pubblica per l’arricchimento dell’uranio.
Ma per capire come Oltremanica stiano prendendo molto seriamente la gravità di questa fase, un misto tra speranze di ripresa e potenziali ricaschi di una crisi a ”w”, il cosiddetto ”double dip” ormai pressoché certo, lo si deduce dalle altre dichiarazioni di politica economica fatte dal primo ministro, secondo il quale fermare la politica di quantitative easing metterebbe in pericolo la ripresa economica. Cosa sia il quantitative easing, pratica posta in essere dalla Bank of England per qualcosa come 250 miliardi di sterline, è semplice: si tratta di una politica per creare moneta da parte delle banche centrali – solitamente in parallelo all’allentamento dei tassi - attraverso l’acquisto di titoli finanziari in mano a privati e include anche la possibilità di acquistare nuovi titoli del debito pubblico da parte delle autorità monetarie. Pratica, quest’ultima, difesa a spada tratta da Gordon Brown fin dall’inizio.
Ma l’allarme, anche recente, del premier sul ritiro degli stimoli all’economia e delle politiche di quantitative easing altro non era che una risposta alle proposte dei Conservatori e in particolare a quelle del loro leader David Cameron, il quale da mesi ormai ripete che gli aiuti pubblici e monetari vanno rivisti «in fretta». Per il leader dei Tories la minaccia più grande per l’economia veniva dal deficit pubblico, mentre Brown insisteva nel mantenere gli stimoli finché l’economia non avesse mostrato chiari segni di ripresa; un pio desiderio mai avverato fin ora. E se il Financial Times sembra essere corso in soccorso del premier, pubblicando il parere di 60 economisti secondo cui la politica di pesanti tagli alla spesa annunciata dai Tories già per quest’anno sarebbe deleteria per il paese – e per la City che gode di un cash-flow spaventoso – occorre ammettere che le politiche di quantitative easing a lungo andare fanno più danno che utile.
L’errore di Brown, confermato dai dati di ieri, è stato scommettere sulla leva del debito pensando che potesse rivelarsi una scelta vincente se questa consente un consolidamento della ripresa e mette al riparo il sistema da possibili - e probabili - nuovi terremoti. Così non è stato. Interpellato dal Riformista a Londra, il Cancelliere dello Scacchiere ombra, George Osborne, ha così commentato la situazione attuale: «I risultati delle ricette del Labour sono sotto gli occhi di tutti, occorre tagliare la spesa pubblica e riportare il debito entro limiti accettabili: continuare con gli stimoli a pioggia e l’indebitamento è soltanto un effetto placebo che a lungo andare aggrava la situazione. ora di porre fine alle misure emergenziali e dar vita a serie riforme fiscali e un programma coraggioso di risparmio e tagli. Bisogna avere il coraggio di dire al paese che la medicina sarà amara da inghiottire, ma che questa, dati alla mano, è l’unica ricetta per guarire».
di Mauro Bottarelli, Il Riformista 20/2/2010