FRANCESCO JORI, la Repubblica Affari&finanza 22/2/2010, 22 febbraio 2010
POCO LIQUIDE, POCHI GIOVANI E POCHE DONNE LA
RICERCA
- La famiglia fa bene all’azienda e ai lavoratori. Ma come tutte le famiglie, specie di questi tempi, per farcela fa grande fatica. E’ nitida la foto di gruppo scattata alle imprese familiari italiane di media e grande dimensione (la soglia scelta è i 50 milioni di fatturato) da AldAF, l’osservatorio che assieme a Unicredit e alla Bocconi monitora l’andamento di una delle realtà portanti della nostra economia: quella appunto delle aziende a controllo familiare, che rappresenta poco meno della metà (48,5%) del totale, con netta prevalenza nei comparti del manifatturiero, del commercio e dei trasporti.
Condotta su un campione di circa 2.500 imprese, e coordinata da Guido Corbetta e Alessandro Minichilli, la ricerca conferma in sostanza la validità della formula gestionale versione casalinga: le aziende familiari continuano a funzionare, visto che il loro tasso di crescita nel periodo compreso tra il 2003 e il 2008 è stato del 50,5%. Ma ribadisce anche la persistenza di un vecchio limite, legato alla sottocapitalizzazione e alla scarsa liquidità: solo il 15% infatti dispone di risorse liquide superiori ai debiti. Manca il capitale di rischio, e rimane consistente il ricorso all’indebitamento bancario. Il che significa che molte famiglie imprenditoriali dovranno impegnarsi per rafforzare il capitale aziendale con risorse familiari o comunque alternative.
Lo stato di salute complessivo rimane comunque buono, almeno a tutto il 2007, limite dell’orizzonte temporale della ricerca: tra il 2003 e il 2007 è cresciuto mediamente del 9,1% il Roi, in sostanza l’indicatore della redditività e dell’efficienza economica, che misura quanto rende il capitale investito nell’azienda. Ma già il 2008 propone una leggera flessione, ed è verosimile ritenere che il barometro nel 2009 abbia registrato maltempo diffuso. E tuttavia l’impresa familiare potrebbe usare come proprio logo la vecchia e solida quercia: il 37% di quelle oggetto della ricerca ha un’età compresa tra i 25 e i 50 anni, il 7% supera il mezzo secolo. Anche la carta d’identità del suo vertice conferma questa impronta: il 43% della leadership aziendale ha più di 60 anni, con un radicamento robusto soprattutto nella fascia tra i 60 e i 70 anni (27,5%, oltre uno su quattro); ma c’è anche un 3,5% di ultraottantenni che tiene botta al timone dell’impresa, mentre gli under 40 si fermano all’8,7%.
La foto di gruppo propone altre interessanti chiavi di lettura. Vi compaiono molti "uomini soli al comando", specie al sud, dove prevale la figura dell’amministratore unico (39,5%), mentre a nordest sono più diffusi i ruoli del presidente esecutivo (74,5%, a fronte di una media italiana del 64,5%) e dell’amministratore delegato (82,1%, ma c’è anche un 75,5% a nordovest).
Niente quote rosa: le donne sono al vertice aziendale solo nel 25,1% dei casi, e la loro presenza nei consigli di amministrazione si ferma al 15,1%, percentuale che crolla al 10 nelle isole. Sarà anche l’altra metà del cielo, ma sulla terra deve accontentarsi degli angoli.