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 2010  febbraio 22 Lunedì calendario

LA PROFEZIA DI MIRCEA ELIADE "SOTTO L’URSS IL MIO POPOLO SPARIR"

Nel febbraio del 1941, una giovane coppia romena con passaporti diplomatici giunge all’aeroporto di Lisbona in provenienza da Bristol. Lui si chiama Mircea Eliade, ed è destinato alla Legazione romena in Portogallo come addetto stampa; lei è sua moglie Nina. Dopo quasi un anno trascorso a Londra (dove Eliade aveva lo stesso incarico che sta per assumere a Lisbona), la capitale portoghese infonde subito ai due giovani una sensazione di beatitudine. Non ci sono i terribili bombardamenti dell’aviazione tedesca, non c’è neppure l’oscuramento perché il Portogallo è neutrale. Il cibo abbonda (il primo pranzo della coppia a Lisbona consiste infatti di sedici portate), mentre in Inghilterra già vigeva un razionamento severo. E in più la vita dei diplomatici sulle rive del Tago è varia, piacevole come negli anni prima della guerra.

Comincia da qui il Diario portoghese di Mircea Eliade (Jaca Book, pagg. 328, euro 34). Non ancora trentacinquenne, il nuovo addetto stampa romeno in Portogallo è un personaggio già ben conosciuto tra gli orientalisti e gli storici delle religioni. Ventenne, ha trascorso un lungo periodo in Indiae sull’Himalaya traendone il miglior libro sullo Yoga uscito sin allora in Occidente.

In Romania ha pubblicato importanti studi sui riti iniziatici e i simboli delle religioni orientali, vari romanzi, una quantità d’articoli sulle riviste culturali, e tra le sue carte ci sono (la prova d’una tendenza alla grafomania) innumerevoli progetti d’altri romanzi e saggi.

Il Portogallo gli piace, e lo affascina anche Antonio Oliveira Salazar, il dittatore che guida il paese ormai da una quindicina d’anni.

Quando Eliade lo incontra per comunicargli che vuole scrivere un libro su di lui e un altro sul grande poeta epico portoghese, Ferdinando Camoes, Salazar lo impressiona per la sobrietà dei modi, per la modestia del suo studio a palazzo Sao Bento ("un tavolo di legno senza carte, e a sinistra un tavolino con sopra il telefono"), ma soprattutto per quel che dice : "Crede fermamente", annota infatti Eliade, "nelle élites. Non c’è bisogno che una rivoluzione sia capita e sostenuta dalle masse. Basta un’élite per trasformare un paese. Le masse sono sensibili solo alla dignità nazionale, alla pace interna, e se le si rispetta, le masse aderiscono ad ogni rivoluzione". In un periodo in cui l’"intellighentsja" europea è in vasta misura antifascista, la simpatia del giovane intellettuale romeno per l’autocrate Salazar potrebbe sorprendere. Ma Eliade è un caso particolare, perché in Romania, pochi anni prima, egli ha partecipato attivamente alla vicenda di quello che fu il più lugubre, spiritato, febbrile movimento d’ispirazione fascista tra quanti ne affiorarono in Europa negli anni Trenta : le Guardie di ferro fondate da Corneliu Codreanu. Movimento élitista, antimonarchico, antiparlamentarista, antisemita, che tendeva ad esaltare il "romanism" - l’identità spirituale romena -, la nazione piuttosto che lo Stato, e la tradizione cristiano-ortodossa. In rivolta contro lo storicismo ancora imperante, nauseato da un ambiente intellettuale che si limita a scimmiottare la cultura occidentale, soprattutto francese, Eliade studioso di miti, riti e simboli primitivi, fervido spiritualista - s’avvicina alle Guardie di ferro. E vi s’avvicina tanto, con i suoi articoli e discorsi (assai più di quanto non osi il suo intimo amico Emil Cioran), che nel 1938,quando il re Carol II reprime e bandisce il movimento, finisce per due anni in un campo d’internamento. Ma torniamo alla vita dell’addetto stampa romeno a Lisbona.

Bucarest ha scelto, dopo un lungo interludio, l’alleanza con l’Asse, e nel giugno del ’41, quando i tedeschi invadono la Russia, l’esercito romenoè al loro fianco.I contatti di Eliade sono quindi circoscritti ai portoghesi, agli spagnoli (neutrali ma con esplicite simpatie per i nazi-fascisti), ai tedeschi, agli italiani e ai francesi di Vichy. Uno dei migliori amici degli Eliade è infatti l’addetto stampa italiano, tale Bolasco, che dà ogni martedì un whisky-party dove tra gli ospiti figura regolarmente il figlio di Giovanni Gentile, secondo segretario alla Legazione. Con le sue luci sfavillanti nell’Europa oscurata dalla guerra, Lisbona vive un periodo straordinario. E’ un nido di spie, una piattaforma per il traffico di materie prime, e allo stesso tempo un punto di passaggio per ebrei e antifascisti che vengono ad imbarcarsi, in nave o in aereo, per gli Stati Uniti. Gli addetti stampa non sono agenti dei servizi segreti del proprio paese, ma questo non toglie che debbano guardare, origliare, annotare. Né mancano le occasioni per muoversi. Eliade viene invitato infatti a vari congressi accademici in Germania e Spagna, e lì incontra personaggi di spicco. A Berlino Carl Schmitt, a Madrid Ortega y Gasset (che rivedrà più tardi in Portogallo), Eugenio D’Ors e Menéndes Pidal.

Incredibile è il numero delle opere che Eliade va scrivendo tra un bagno di mare a Cascais, un pranzo di diplomatici e gli articoli sui giornali portoghesi destinati a far conoscere la Romania. La prima stesura di quel trattato di storia delle religioni che sarà poi il suo libro più importante, due o tre romanzi, un’opera teatrale. Sullo sfondo di tanto attivismo, gli umori dello scrittore oscillano tra l’euforia e i momenti di depressione. Un giorno scrive sul diario che i suoi "orizzonti intellettuali sono più vasti di quelli di Goethe", un altro giorno annota : "Mai ho avuto la sensazione così netta d’essere un grande scrittore". Ma col trascorrere dei mesi, già nell’estate del ’42, l’intera sua energia mentale è presa dall’andamento della guerra sul fronte russo. E qui le euforie di Eliade lasciano il posto alle angosce. I tedeschi non sono infatti riusciti ad entrare a Mosca, tedeschi e romeni non riescono ad espugnare Stalingrado, la prospettiva che Hitler perda la guerra si delinea ormai come probabile. Lo scrittore è sconvolto ("l’agonia di quelli che stanno a Stalingrado è l’agonia dell’Europa"),perché ha capito quali ne saranno le conseguenze.

Questa è forse, con le lucide previsioni di Eliade su una vittoria della Russia comunista, la parte più interessante del diario. Beninteso l’intellettuale romeno parla dal suo versante politico, che è quello dei fascismi europei. Ma il suo occhio guarda lontano, a cosa accadrà all’Europa Centrorientale quando il comunismo sovietico ne avrà preso possesso. "Di nuovo, il sentimento dell’imminente catastrofe storica. Quando immagino come scompariranno le élites romene, come verranno soppresse le grandi figure... sono preso da una sorta di disperazione... Quello che non posso accettare è la tragedia della mia nazione. Il pensiero che lo Stato e la nazione romeni potrebbero scomparire a causa dei russi...".

Più avanti scrive : "Mi inorridisce quello che vedo davanti a me.

La civiltà latino-cristiana che tramonta sotto la cosiddetta dittatura del proletariato...". E ancora : "Se vinconoi russi, sia io, sia la mia opera, sia il mio popolo spariremo".

Maè quandoi russi sono ormai nella capitale romena, che la preveggenza è impressionante : "A Radio Bucarest, non sentiamo altro che ciò che fanno, pensano e dicono i sovietici. I nostri poveri governanti sono solo degli strumenti. Al primo cenno d’autonomia, saranno tolti di mezzo... La Romania è tornata indietro di centoventi anni, all’epoca del protettorato russo...".

E’ l’annuncio del colpo di Stato comunista del ’48, e del cimitero romeno sotto Ceausescu. In Ungheria, in Cecoslovacchia, in Polonia, nella Germania Est, gli intellettuali democratici s’illudono ancora, e sarà soltanto parecchi anni dopo che percepiranno la tragedia dei loro paesi.