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 2010  febbraio 22 Lunedì calendario

STAMINALI (2

articoli) -
«Noi non facciamo nessuna promessa, ma riportiamo la letteratura medica. Facciamo crio-conservazione delle cellule staminali. E con queste si può guarire. Non credo esistano aziende che vanno in giro a raccontare che si può rigenerare un cervello o un cuore dalle cellule. Ma che queste possano aiutare a risolvere molte patologie non c’è dubbio. Il fatto è che se un professore americano spara a zero contro le cliniche che conservano i cordoni ombelicali la notizia fa il giro del mondo, ma la stessa cosa non avviene se un bambino si salva con il suo sangue crio-conservato».
Jean Charles Janni, piemontese di Domodossola, è il direttore generale di Genico, società che si occupa di crio-conservazione con sede a Losone, nel Canton Ticino. Rifiuta nel modo più assoluto l’etichetta di affarista o, peggio, di venditore di sogni. «La casistica c’è. E per alcune patologie anche in Italia è prevista la possibilità di conservare le cellule, esclusivamente a proprio uso. Per la conservazione, che può avvenire solo all’estero, occorre il nullaosta ministeriale all’esportazione. I nostri consulenti hanno anche il compito di seguire i pazienti in tutte queste procedure burocratiche».
E tra i pazienti - assicura Janni - non ci sono soltanto vip e persone facoltose: «Sono sempre di più le persone ”normali” che capiscono l’importanza della crio-conservazione del cordone ombelicale del proprio figlio. Molti lo considerano un vero e proprio regalo, da mettere da parte con la speranza di non usarlo mai. E’ una assicurazione biologica. Il costo? Trecentoottanta euro da versare quando si riceve il kit per il prelievo e un saldo di 2100 euro ad avvenuto stoccaggio che, per la nostra società, viene fatto per 30 anni in due laboratori distinti, in Belgio e in Germania, per evitare che una ipotetica calamità possa distruggere i tubetti immersi in azoto liquido a -196°. Se poi lo stoccaggio non va a buon fine, restituiamo i soldi. Altro che affaristi!».
Il problema, secondo Janni, è piuttosto nella scarsa pratica del dono del cordone ombelicale: «Noi invitiamo a donarlo oppure a conservarlo, di sicuro non a buttarlo, come avviene ancora oggi in moltissimi ospedali italiani. Eppure bastano dai tre ai cinque minuti e si può fare anche con il parto cesareo: a nascita avvenuta e prima dell’espulsione della placenta il sangue viene raccolto in una sacca con liquido anticoagulante che viene subito prelevato dai nostri consulenti e avviato alla lavorazione. Servirebbero delle campagne di sensibilizzazione su questo tema».
Al professore dell’Università di Stanford - dice Janni - «suggerisco di visitare il sito www.parentsguidecordblood.org: lì troverà molte storie raccontate da familiari di donatori di cordone che non sono frutto della fantasia. E poi non va dimenticato un fatto importante: le cellule sono compatibili al 100% con il bambino al quale sono collegate, ma c’è anche una possibilità su quattro che possano andare bene anche ai fratelli, ovviamente sempre in caso di patologie che si possono affrontare con questi sistemi. E l’elenco, lo ribadisco, è lungo».
Carlo Bologna

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Sono felice delle dichiarazioni di Weissman. E’ ciò che da anni ripetiamo in Italia alle future mamme: la conservazione autologa del sangue di cordone ombelicale è assolutamente inutile».
La dottoressa Franca Fagioli, oncoematologa, responsabile della Commissione trapianto di staminali da donatore non correlato nel Gruppo Italiano Midollo Osseo (Gitmo), dice che il nostro Paese, una volta tanto, precede l’America.
Dunque non la sorprende che il professor Weissman parli quasi di «truffatori» quando si riferisce a certe banche del cordone ombelicale...
«Non c’è una sola prova scientifica che giustifichi una raccolta per sé o i propri figli. L’unica eccezione, consentita anche in Italia, è quando viene al mondo il fratello di un bimbo leucemico: in questo caso di parla però di raccolta ”dedicata”, si può e si deve fare. Ma è davvero la sola eccezione».
Eppure tante banche straniere promettono il contrario ed entrano persino nei nostri ospedali, chiamate dalle future mamme. Un motivo ci sarà: quale?
«Due o tre anni fa, in effetti, c’è stato un boom di queste richieste, che devono essere autorizzate dal ministero. Madri e padri disposti a pagare da 1500 a 3000 euro solo per entrare in ”banca”, e poi altri centinaia di euro ogni anno per crio-conservare il sangue cordonale, preoccupati dall’idea di una possibile futura malattia di un figlio. Peccato che, in caso di malattia, quel sangue non serva assolutamente a nulla».
A nulla?
«Intanto la possibilità che un bimbo si ammali di una patologia che necessita di questo genere di trapianto varia, a seconda dei Paesi, da un rapporto di 1 a 2700 fino a un rapporto di 1 a 200 mila. In ogni caso, il sangue del cordone ombelicale contiene la malattia, perché l’alterazione è nel patrimonio genetico. Tant’è che, quando una donna in Italia dona il sangue cordonale e si scopre che in famiglia ci sono state o ci sono ad esempio malattie di origine virale, quel sangue viene distrutto. In Italia è addirittura vietata la pubblicità delle banche private che fanno la raccolta riservata alla famiglia. L’unica banca permessa è l’allogenica, universale e anonima».
Quindi la sola spinta delle organizzazioni finite nel mirino del professor Weissman è il guadagno?
«Cos’altro? All’estero, evidentemente, nessuno ha avuto la forza di contrastare i grandi interessi che ci sono dietro. In Italia, almeno questo tema, non è diventata lotta fra partiti».
Dottoressa, a che cosa serve tutto il sangue cordonale prelevato nei nostri ospedali?
«Tutti i prelievi sono destinati a banche dalle quali si può attingere per chiunque. Non esistono donazioni ”private”. Con le staminali del cordone ombelicale sono stati trattati 20 mila pazienti affetti da leucemie, linfomi, gravi forme di anemie soprattutto congenite, immunodeficienze combinate gravi. Il primo trapianto risale al 1988, e nel mondo, da allora, il 20 per cento dei trapianti è fatto con sangue cordonale».
Quante sono, oggi, le unità di sangue da cordone a disposizione per il trapianto allogenico?
«Circa 450 mila».
Utilizzate anche per la ricerca?
«No, il sangue donato è destinato alla cura. Per la ricerca si utilizza prodotto di scarto: quello che contiene poche cellule, oppure quando non sono stati compiuti tutti gli esami sulla donatrice».
Sappiamo che ciò che spinge una madre a rivolgersi alle banche straniere è la speranza di poter, un giorno, rigenerare organi e tessuti. A che punto è la ricerca?
«E’ un sogno comprensibile. Ma soltanto un sogno. L’idea che queste cellule possano servire per la medicina rigenerativa è una chimera. Ripeto: non c’è un solo presupposto scientifico che giustifichi la conservazione per se stessi. Anche perché si può sempre prelevare da midollo osseo».
Perché le banche private continuano ad avere migliaia di clienti...
«Si legge ogni tanto di questo o quel personaggio che ha deciso di conservare il sangue per sé o per i familiari. Il che è una cassa di risonanza devastante. Per fortuna pare che in Italia siano diminuite le donne che si rivolgono alle banche straniere al momento del parto. Hanno capito qual è la verità».
Marco Accossato