Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 14/2/2010, pagina 88, 14 febbraio 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
7 gennaio 1869
La tassa sulla fame
Quando le campane a stormo lo tirano giù dal letto, il vicesindaco di San Giovanni in Persiceto non riesce a credere ai propri occhi: contadini in piazza, nei vicoli, ovunque. Agitano minacciosamente i forconi gridando «Viva Pio IX! A morte i signori!». Nella mischia riconosce l’arciprete, che da anni si rifiuta di dir messa nei giorni delle feste patriottiche, il sarto Zaccaria Lodi, soprannominato Bell’Uccello per motivi che qui non staremo a indagare, il calzolaio Gaetano Cotti, detto Cutarèn. Ma quanti sono? Quattromila, ed è l’appetito ad averli trascinati lì. Il primo gennaio è entrata in vigore la tassa sul macinato: due lire per ogni quintale di grano, una lira per il granturco e la segale con cui si impasta il pane della miseria. Da subito considerata «la tassa più impopolare di ogni tempo», record che detiene tuttora. A imporla è stato il ministro delle Finanze Cambray-Digny, che cerca di tamponare la voragine provocata al bilancio dalle guerre risorgimentali. Ma a subirla sono gli abitanti dei paesi, per i quali significa fame certa.
Poiché il governo ha fatto la tassa ma non i contatori per misurarla, i mugnai vengono investiti del ruolo odioso di esattori. Se ne sottraggono chiudendo i mulini. Morsi dalla fame e sobillati dai parroci, i contadini si sollevano dappertutto. L’epicentro è l’Emilia, e l’epicentro dell’epicentro si trova lì, sotto le finestre del vicesindaco di Persiceto, il possidente Astorre Sassoli. Dalla prefettura di Bologna gli suggeriscono di ammansire i ribelli, proponendo una dilazione nel pagamento. Ma a mezzogiorno in punto, come nei western, irrompono gli abitanti della frazione di San Matteo della Decima, armati di schioppi e forconi. Entrano in Municipio, bruciano gli archivi delle tasse e della leva. Poi si dedicano alla casa del Sassoli, non prima di aver preso il proprietario a bastonate. Arraffano soldi, posate d’oro e botti di vino, spillate fino all’ultima goccia. L’arrivo dei bersaglieri di Cadorna tronca la rivolta in un bagno di sangue: dieci morti, fra cui una ragazza (in tutta Italia le vittime saranno 257). L’arciprete si rintana in sacrestia, terrorizzato dal suo stesso ardire. Il clero rimane l’ispiratore morale dei moti. L’unico. Mazziniani e anarchici prendono infatti le distanze dai «brutti fatti di Persiceto» e condannano «l’infausto trambusto de’ contadini». La Sinistra, democratica o extraparlamentare che sia, afferma di agire in nome del popolo, ma lo conosce così poco da non comprenderne i reali bisogni. Un vizio antico da cui non si è mai liberata del tutto.